Massimo Teodori, Corriere della Sera 10/11/2012, 10 novembre 2012
Alle elezioni politiche del 1953 comunisti e alleati fecero fuoco e fiamme contro la «legge truffa» arrivando a sradicare le tavolette dei banchi del Senato per lanciarle contro il presidente Meuccio Ruini
Alle elezioni politiche del 1953 comunisti e alleati fecero fuoco e fiamme contro la «legge truffa» arrivando a sradicare le tavolette dei banchi del Senato per lanciarle contro il presidente Meuccio Ruini. Il sistema elettorale incriminato prevedeva che la coalizione di partiti che avesse raggiunto il 50% dei voti +1 avrebbe ottenuto il 55% dei seggi alla Camera: la Dc di De Gasperi voleva stabilizzare il centrismo contro i comunisti e le destre monarchico-fasciste, e i laici Psdi, Pri e Pli, ritenevano di condizionare i cattolici dalle tentazioni integraliste. Alla fine i centristi presero quasi il 50% dei voti ma non forzarono i risultati per cui il premio di maggioranza non fu attribuito. Oggi sulla riforma elettorale si consuma un balletto indecente. Ogni partito cerca di confezionare un sistema a proprio uso e consumo senza alcun rispetto per la neutralità elettorale, cardine dello Stato di diritto. I Democratici, eredi del Pci ostile alla «legge truffa», vorrebbero un sistema super-truffa per cui il partito che prende più voti, magari solo il 35%, si aggiudica il 55% dei seggi. La destra pretende un premio in seggi anche per chi arriva secondo, magari con il 20% dei voti. I centristi puntano sulla proporzionale per restare arbitri delle maggioranze parlamentari. Tutti auspicano in cuor loro che alla fin fine non si faccia alcuna riforma, sicché i boss dei partiti possano continuare a portare i loro protetti nei palazzi del potere, senza il fastidio degli elettori. L’etica politica è ormai un ricordo che giace in fondo alla pubblica pattumiera: il modesto premio di maggioranza di ieri, considerato un’esecrabile «truffa», impallidisce di fronte ai bizantinismi d’oggi, concepiti ad esclusivo uso partitico e spacciati per governabilità. Si aggiunga che il club dei vecchi partiti mantiene in vita un altro imbroglio sotterraneo contro il rinnovamento: i gruppi che sono in Parlamento non devono raccogliere le firme per presentarsi alle elezioni, mentre le nuove forze ne devono raccogliere a centinaia di migliaia seguendo complesse procedure che risultano praticamente impossibili. E poi ci si meraviglia del successo di Beppe Grillo. Massimo Teodori