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 2012  novembre 08 Giovedì calendario

L’IMBARAZZO DI ORSI PER L’INSULTO A BAGNASCO

Mi avete preso per un coglione?”. “No, sei un eroe!”, “No, dico, mi avete preso per un coglione, sotto la gamba con la ‘meno’, mi fa male”. Portato in trionfo dai fratelli Soldati dopo aver salvato la Longobarda di Aristoteles dalla retrocessione in serie B nell’immortale “L’allenatore nel pallone”, Lino Banfi denunciava una presa troppo stretta all’altezza del cavallo.
SIMILE STIVALETTO malese deve aver intravisto in prospettiva Giuseppe Orsi, ad di Fin-meccanica, scovato in compagnia dell’ex presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi a definire disinvoltamente tra un Bordeaux e un’anatra all’arancia un’importante porpora cardinalizia. Il più eminente, e suggeriscono “vendicativo” rappresentante dell’unica entità che dentro i patri confini conti ancora qualcosa. Beghe genovesi , scimmie di “luce e di follia”, rancori localistici che diventano trame internazionali. Gialli politico-finanziari. Schegge di commedia all’italiana. “Domani vado a dare del coglione a Bagnasco” gorgheggiava Orsi al desco.
L’inopinata pubblicazione del colloquio ha provocato crisi digestive, visioni mistiche e infine dato alla luce la più esilarante tra le missive. Un’opera d’arte diretta al Secolo XIX. Una commistione tra gli inchini di Fantozzi alla madre del megadirettore generale, una riedizione del concordato del ’29 e la sottomissione assoluta che Claudio Gora in “Una vita difficile” pretendeva dal suo segretario, il Silvio Magnozzi di Sordi. L’incipit di Orsi è sublime: “Egregio Direttore, Le chiedo gentile ospitalità in merito all’articolo pubblicato ieri sul Suo giornale, dal titolo ‘L’insulto a Bagnasco che imbarazza Orsi’, per doverosa precisazione ma, soprattutto, per rispetto a Sua Eminenza il Cardinale Bagnasco e a tutti i fedeli che, come il sottoscritto, riconoscono nel proprio Vescovo il Pastore del Popolo di Dio, di cui sono parte, nel cammino verso la Salvezza”. Incerto sul raggiungimento della stessa, in un purgatorio di rossori e temute conseguenze, Orsi va oltre. Nega l’evidenza. Si avviluppa nel nonsense. Supera i precedenti primati di arrampicata sugli specchi e infine, offre al pubblico pagante il quadro esatto dei reciproci rapporti di forza: “Vorrei sottolineare che ciò che viene definito un "insulto", tale non è. Non ho mai offeso - in pubblico o in privato - il Cardinale Bagnasco, né ho mai usato nei suoi confronti espressioni irriguardose. Né mai lo farei…”. E ancora, in un crescendo wagneriano: “Il cosiddetto "insulto" non è altro che un’espressione colorita - questo sì -, come può essere usata in privato tra due amici, con la quale indicavo semplicemente al mio interlocutore che il giorno successivo sarei andato a trovare il Cardinale per manifestargli, in modo franco, la mia non condivisione delle considerazioni da lui espresse nel corso di una omelia…”.
Sim-sala-bim. Silvan-Orsi raspa il cappello e trova conigli, giustificazioni e bianche bandiera da sventolare in segno di tregua. Il “coglione” diventa una lieve “non condivisione” e per tutto il resto, la colpa è della Polizia. “L’espressione da me usata – ‘perché mi ha fatto una omelia’ -, è trascritta purtroppo in maniera errata… con le parole "perché mi ha fatto una villania", seguite da omissis. Errori di trascrizione di questo tipo possono capitare, soprattutto quando l’intercettazione avviene in un ambiente rumoroso…”. Tutto chiaro. I rumori. I chiarimenti successivi. I finali di partita ancora da scrivere: “Nel confermare al Cardinale Bagnasco i sensi della mia più viva stima” Orsi bela “cordiali saluti”. Il pastore è lontano. Il gregge, disperso.