Bruno Vespa, Libero 08/11/2012, 8 novembre 2012
COSÌ BERLUSCONI HA DECISO DI COMBATTERE ANCORA
[Nel nuovo volume i retroscena dei cambi d’idea del Cav sulla candidatura] –
«Spostate quella foto, sì quella con la cornice d’argento... Bene. Via quella lampada dalla scrivania, squilibra l’inquadratura... La luce è troppo fredda, scaldiamola con un filtro. Sì, il «filtro calza»... Ecco, così è più morbida... Bene, possiamo partire. Dottore, è pronto? Ok, motore... “L’Italia è il paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti...”». È la tarda serata del 25 gennaio 1994. Nel suo studio di villa San Martino, ad Arcore, Silvio Berlusconi registra un videomessaggio di nove minuti per annunciare la sua «discesa in campo», che di lì a due mesi lo porterà a palazzo Chigi.
Oggi, 25 ottobre 2012, sento lo stesso tramestio di telecamere dietro la porta del suo studio romano di palazzo Grazioli. E, poi, la voce inconfondibile: «Per amore dell’Italia si possono fare cose pazze e cose sagge. Diciotto anni fa sono entrato in campo, una follia non priva di saggezza, ora preferisco fare un passo indietro per le stesse ragioni d’amore che mi spinsero a muovermi allora...». Sette minuti e 35 secondi per chiudere la storia della Seconda Repubblica. (...)
LE VERE INTENZIONI
Ha deciso davvero di lasciare? Sì, certo, la situazione era diventata insostenibile. Eppure… Eppure, cosa? Magari ci ripensa. Impossibile. Però sta soffrendo. Guarda che lunga pausa prima di rispondere, adesso che gli chiedi quando ha deciso di lasciare. La mano sinistra tambureggia sul gomito destro... E adesso che gli domandi se ha mai pensato di lasciare il Parlamento? Anche qui una lunga pausa... Guarda, invece, come si diverte parlando di Grillo, il trionfatore delle elezioni siciliane. Si vede che lo ammira. Sembrava strano che un imprenditore diventasse presidente del Consiglio, ma chi avrebbe mai pensato che un comico potesse sconvolgere la vita politica italiana? D’accordo, quando Grillo lavorava a in televisione, il Cavaliere non gli prestava troppa attenzione, preso com’era dalle ragazze. Ma adesso lo studia, cerca di capire perché tanta gente va a sentirlo e, soprattutto, perché tanta gente lo vota. E Renzi? È chiaro che lo vorrebbe nel centrodestra, che ci si rivede da giovane... Berlusconi è attratto da tutto quello che spiazza. (...)
Adesso prende un foglio A4, diavolo d’un Cavaliere, tira giù due righe con il pennarello, che non lo abbandona mai, e lo divide in quattro. Scrive Nuovo in cima al foglio,Vecchio in basso, Pulito a sinistra, Sporco a destra. E ora che fa? Riempie con dei tratti di penna il quadratino superiore sinistro, quello che sta tra Nuovo e Pulito, e dice: «Noi adesso dobbiamo lavorare qui...».
(La data è del 25 ottobre. Poi c’è il cataclisma di villa Gernetto, rifacciamo l’intervista da capo e gli dico: senta, a evitare che qualcuno sospetti che lei, dopo la sentenza, abbia archiviato il Vecchio, il Nuovo, lo Sporco e il Pulito, me lo rifà il disegno per favore? E lui lo rifà, lo rifirma e la data è del 31 ottobre). È il mio terzo incontro con Silvio Berlusconi in cinque mesi e mi trovo di fronte a tre decisioni diverse. La sera del 29 maggio 2012, dopo una cena con tante persone nella principesca dimora di Angelo e Melania Rizzoli, il Cavaliere mi confessa: «Sono incerto se lasciare o candidarmi di nuovo». «Presidente», rispondo, «lei ha costruito una grande squadra di calcio, il Milan. Credo che il momento di fare il centravanti sia passato. Il suo posto è sulla panchina dell’allenatore...».
Per un paio di settimane Berlusconi sembrava aver accettato il centrodestra...». Ma gli allenatori costruiscono i gol, non li segnano. E a lui piace segnare, togliersi la maglia, andare sotto la curva.
Così, quando ci rivediamo il 13 luglio, in un incontro dedicato alla ricostruzione della caduta del suo governo per questo libro, mi dice: «Ero abbastanza convinto di lasciare la vita politica e di cedere il testimone ad Angelino Alfano, che gli altri se li mangia a colazione e a cena. È lui l’uomo del futuro. Ma se i sondaggi ci dicono che il nostro elettorato è legato al Fondatore, come faccio...». All’incontro assistevano Alfano e Gianni Letta. (...) È necessario un passo indietro. Letta e Alfano avevano molto insistito, prima e dopo l’«autoscoop» che il Cavaliere mi aveva consegnato a metà luglio, perché Berlusconi annunciasse la rinuncia.
E poiché lo vedeva incerto («Decido dopo l’estate, se riprendo vigore magari torno in campo»), prima delle vacanze estive Letta gli disse: «Diamo una bella accelerata alla legge elettorale, togliamo di mezzo la condizione capestro del Porcellum, che vincola sull’indicazione del premier da parte della coalizione, tu resti il leader di uno dei due schieramenti, ma, se passiamo a un sistema proporzionale, il capo dello Stato sarà libero di assegnare l’incarico a chi ritiene più idoneo».
Il 20 luglio, in una riunione, fu avanzata la proposta di fare subito la legge per andare a votare già nel novembre 2012. Pier Luigi Bersani era d’accordo, e non erano contrari né Giorgio Napolitano né lo stesso Mario Monti, che vedeva avanzare concretamente l’ipotesi di un nuovo incarico da parte di un Parlamento molto frammentato. La proposta cadde perché il presidente del Senato, Renato Schifani, disse al capo dello Stato che non poteva far lavorare d’ago - sto i senatori alla nuova legge, a meno che i leader dei tre partiti di maggioranza non dicessero espressamente che tutto questo sarebbe servito per votare a novembre. Condizione evidentemente impossibile.
Ricominciò così il tran tran, fino a un pranzo a tre con Alfano e Letta, il 24 ottobre. La situazione era diventata insostenibile. Il partito era spaccato, Daniela Santanchè delegittimava ogni giorno Alfano alla vigilia delle elezioni siciliane, accreditandosi come interprete delle segrete volontà del Cavaliere («Ma quando mai...» mi giura Berlusconi).
«Se devi fare un passo indietro», gli ripeté Letta «fallo adesso». Berlusconi si convinse, al punto da immaginare anche un solennissimo cerimoniale: annuncio con messaggio videoregistrato, visita al presidente della Repubblica per informarlo della novità, investitura formale di Angelino alla successione. E fu affidata istantaneamente al geniale ghost writer Giuliano Ferrara, che a fare queste cose si diverte come un matto, la stesura della traccia del messaggio, diffuso quello stesso pomeriggio.
Passano quarantott’ore e, al tribunale di Milano, Edoardo D’Avossa, un magistrato con pochi capelli bianchi e l’espressione austera dietro gli occhiali pesanti, legge novanta pagine (tra dispositivo e motivazione) del verdetto del processo per frode fiscale nell’acquisto dei diritti televisivi fatto da Fininvest all’inizio degli anni Novanta. Quattro anni di carcere (di cui tre condonati per l’indulto del 2006), interdizione per cinque anni dai pubblici uffici (ma solo a sentenza definitiva) e 10 milioni di euro da pagare subito all’Agenzia delle entrate come provvisionale sul risarcimento.
La condanna è clamorosa (il pubblico ministero aveva chiesto quattro mesi in meno), ma a pesare di più è la motivazione, scritta immediatamente (cosa pressoché inedita) per guadagnare tempo rispetto alla prescrizione. Dice il tribunale: «Quanto a Berlusconi... devesi anzitutto considerare il suo ruolo di direzione e di ideatore fin dai primordi del gruppo di un’attività delittuosa tesa a una scientifica e sistematica evasione di portata eccezionale. Va poi considerata la particolare capacità a delinquere dimostrata nell’esecuzione del disegno...». Per otto anni e mezzo, insomma, l’Italia sarebbe stata guidata da un delinquente matricolato.
Il Cavaliere non ci sta, e l’indomani, 27 ottobre, convoca i giornalisti a Lesmo, a villa Gernetto, la splendida residenza settecentesca che ha ristrutturato nel 2010 per farne la sede dell’«Università del pensiero liberale». E su uno sfondo di arazzi e di damaschi rosso- oro, notifica, in sostanza, quanto segue.
I PUNTI FONDAMENTALI
1. Confermo di non candidarmi a palazzo Chigi, e le primarie serviranno a scegliere il candidato.
2. Resto tuttavia in campo per combattere la dittatura dei magistrati (la «magistratocrazia») e promuovere finalmente la riforma della magistratura.
3. Il mio governo è caduto perché l’esplosione degli spread è stata determinata dalla massiccia vendita di titoli italiani ordinata alle banche dalla signora Merkel.
4. Bisogna cambiare totalmente la politica imposta in Italia dalla Germania e accettata al cento per cento dal governo tecnico. Subiamo, in particolare, l’estorsione fiscale, che fa parte di un regime di polizia tributaria. Ora gli italiani stanno male, hanno paura del fisco e di spendere, così l’economia si paralizza e le imprese saltano.
5. Con il governo Monti, l’Italia è finita in una spirale recessiva senza fine e, quindi, valuteremo con i miei colleghi se sia meglio togliere subito la fiducia o aspettare le elezioni.
6. Non è più tempo dei presidenti a chiamata. Se crede, Monti dovrà partecipare alle elezioni e farsi eleggere.
7. I moderati vanno riuniti e, per arrivarci, era necessario il mio passo indietro.
8. Primi elementi del programma di governo del PdL: abolizione dell’Imu sulla prima casa, cambiamento del «rapporto di violenza tra Equitalia e i contribuenti», elevazione del limite di spesa a 1000 euro in contanti, possibilità di telefonare senza la «barbarie» delle intercettazioni.
È, dunque, il Berlusconi numero quattro, quello con cui parlo di nuovo nelle pagine finali di questo libro.