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 2012  novembre 05 Lunedì calendario

Obama, il correttismo e il marchingegno della speranziella – Se ce la facesse Obama, dovremmo prepararci a una nuova temperie mondiale, in un alone vittorioso di ideologicamente corretto

Obama, il correttismo e il marchingegno della speranziella – Se ce la facesse Obama, dovremmo prepararci a una nuova temperie mondiale, in un alone vittorioso di ideologicamente corretto. La coppia Romney è bianca che più bianca non si può, lui è un businessman pacchiano ma pragmatico e affidabile, lei la First Lady dei buoni biscottini, il tutto molto americano, e se dell’Europa si parla è perché è un rischio, comprese le cattive abitudini da non importare. La coppia Obama sa di Harvard, Law School, e di orto biologico, sa di cosmopolitismo, di Eurotrash, la gita a Firenze sognata una vita e le buone viziose attitudini del vecchio continente colto e benestante, la coppia ha fallito con le energie alternative ma non demorde, l’idea è quella di assoggettare gli spiriti animali della crescita economica alla dittatura dei luoghi comuni. Intendiamoci, Obama, come ogni altro presidente degli Stati Uniti, fa quel che deve fare, all’ingrosso: prende Bin Laden e lo accoppa, manda in giro una quantità di droni a decapitare il terrorismo mondiale, sorveglia Guantanamo Bay come il predecessore, si accorda con Wall Street per le regole, tiene a bada il Congresso che lo controlla, ci va piano con le tasse. E lo stesso a parti rovesciate farebbe Romney, che non darebbe il potere ai tea party e alla fine sgonfierebbe il debito con tutta la gradualità necessaria, facendo attenzione a non urtare con lo smantellamento del big government le suscettibilità solidariste che anche in America sono forti il giusto, e nessuno vuole più sentire parlare di guerre secondo un progetto di ordine mondiale fondato sull’espansione della libertà (sono congiunture uniche, come quella dell’undici settembre duemilauno, che consentono o esigono inneschi strategici di quel tipo come accadde con George W. Bush). Ma lo scontro di segni è fortissimo. Per questo sono ancora convinto, nonostante i sondaggi in contrario, che Romney ce la possa fare. Mi spiego. Il candidato repubblicano non è un asso, anche se è spesso sottovalutato. Ma il candidato presidente Obama è l’opposto di quello che era quattro anni fa. Prometteva un abbraccio universale, la cosa più americana che ci sia, ha realizzato un mandato insulare, tutto chiuso in una dialettica tra i liberal di Chicago e quel che c’è di radicale alla loro sinistra. Non ha governato così male, siamo seri, ma ha governato. E questo solo fatto, dover scegliere anche se malvolentieri e tardi rispetto ai fatti, oltre a produrre risultati economici e sociali ambigui, ha trasformato il giovane nero che prometteva un mondo nuovo per tutti, quel tratto che la cattivissima Sarah Palin chiama the hopey thing, il marchingegno della speranziella, in un intellettuale complicato, che deve badare alle nozze gay e tenersi stretta la vecchia e malsicura maggioranza radicaleggiante, lontano dai destini della famosa America profonda. Di Obama resta l’obamismo all’europea, la parte più debole e ideologica, quella che ha portato all’endorsement snobbish dell’Economist. E Romney esprime, sebbene con una nervatura non proprio sanguigna ed energica, esattamente il contrario, il repubblicanesimo della business community, della country music e della voce rauca di Clint Eastwood. Staremo a vedere.