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 2012  novembre 08 Giovedì calendario

Murgia, l’italiano medio che andava al massimo - «Prima ero un solito ignoto. Adesso sono un solito ignoto, ma di successo però»

Murgia, l’italiano medio che andava al massimo - «Prima ero un solito ignoto. Adesso sono un solito ignoto, ma di successo però». La vita di Tibe­rio Murgia è tutta qui. Ex muratore di Oristano (classe 1929) reso fa­moso nel 1958 da Mario Monicelli con il personaggio di Ferribotte in I soliti ignoti , è rimasto ostinata­mente fedele alla sua maschera da commedia dell’arte lungo una car­riera di quasi 50 anni e 155 film. Di­ventò noto come il sardo che mo­stra al mondo com’è fatto un sicilia­no: aria altera, baffetto, incarnato olivastro. E passione trascinante per la donna, anche e soprattutto fuori dal set. Il 13 novembre, fuori concorso al Festival del film di Roma, arriva il documentario di Sergio Naitza L’insolito ignoto. Vita acrobatica di Tiberio Murgia . Un’orae mezza di aneddoti di amici e colleghi (ci sono anche Claudia Cardinale, Lando Buzzanca e interviste di re­pertorio a Monicelli), di rac­conti dei familiari e del­lo stesso Murgia (scomparso nel 2010, gli ultimi anni li aveva passati in una casa di riposo a Tolfa), con l’apporto criti­co di Marco Giusti, Steve della Casa e Gof­fredo Fofi. Una vita acroba­tica che­è anche la pa­rabola di un cenerento­lo nell’Italia arrembante dal boom economico in poi. Dal­l’infanzia povera a Oristano al pri­mo matrimonio, e poco dopo la fu­ga, da moglie figli e Sardegna, desti­nazione Roma. Sguattero in un ri­storante di via della Croce, Murgia fu toccato di striscio dall’ala della Dolce Vita: fu nota­to da Mario Moni­celli, in fase di casting per I soliti ignoti . Durante le pause di lavora­zione, intimidito dai mostri sacri Gassman e Mastroianni e dal cipi­glio di Monicelli, Murgia stava in disparte, ma il giorno dell’uscita del film un produttore lo convocò e gli fece trovare un contratto per quattro pellicole. E fu l’inizio di una fantastica carriera da operaio del comico. Da Il ritorno dei soliti ignoti a La Grande Guerra , a La ra­gazza con la pistola , alla stagione delle commedie leggere degli anni ’70, con Celentano e Franco e Cic­cio, senza disdegnare la vague pe­coreccia, da La soldatessa alle gran­di manovre in poi. All’inizio degli anni ’60, racconta Murgia nel do­cumentario, arrivò a girare 14 film in 12 mesi: «Ho fatto il carabiniere, l’autista, il ladro, il pastore, il cowboy e anche uno dei sette na­ni ». In pochissime occasioni inter­pretò un sardo: quasi sempre fu doppiato in siciliano. E sempre la stessa rimase la sua maschera: una comicità affidata alle sopracci­glia, alla posizione del mento all’in­sù: per una malformazione alle pal­pebre vedeva bene solo verso il bas­so (rifiutò ostinatamente di farsi operare). Un’aria impassibile un po’ alla Buster Keaton e una padro­nanza perfetta dei tempi comici erano gli ingredienti da scafato co­median dell’arte. Di impeccabile professionalità sul set, Murgia destinava tutte le energie avventurose alla grande passione della sua vita: la donna, con una predilezione per quella d’altri. Raccontava di aver preso parecchi schiaffoni dal padre di una sua fiamma rimasta incinta. E il padrone di una fabbrica arrivò a sparargli, mancandolo, per allon­tanarlo dalla camera da letto di una lavorante. Murgia ruppe poi con Franco Franchi che lo rimpro­verava con invidia isolana per le sue continue avventure. «Bigamo e di più», chiedeva al figlio di na­scondere in casa la biancheria del­l’amante quando la seconda mo­glie tornava per il fine settimana. Lasciò un numero imprecisato di figli illegittimi. Militante del Pci sin da ragazzino, diceva di essere sta­to espulso dal partito per aver avu­to una relazione con la moglie d’un funzionario. Infine Maria de Filippi, durante un suo program­ma pomeridiano degli anni ’ 90 pre­sentò a un Murgia ormai anziano una sua antica amante cagliarita­na. Murgia, che non si ricordava di lei, le disse: «Tu mi amavi?». «Sì». Risposta dell’attore: «E io?». Il documentario restituisce in maniera commossa ma asciutta l’ allure macchiettistico-dongio­vannesca di Ferribotte. Nota disso­nante, il «santone dell’ultrasini­stra storica» (così su di lui Giovan­ni Raboni) Goffredo Fofi, in tutti i suoi interventi massacra Murgia: lo definisce imprigionato in un ruo­lo «maschilista in modo aberran­te », attore che usa «motivi comici da terzo mondo».Una fredda anali­si venata di razzismo storico verso gli aspetti «retrogradi» della com­media all’italiana, quella di un Fofi in vena clericale. Chi una volta det­tava la linea, ora se la piglia col ca­ratterista. E se potesse, scommet­tiamo, lo espellerebbe dal Pci.