Fausto Carioti, Libero 07/11/2012, 7 novembre 2012
TRUFFATI GRILLO E BERSANI
[Pdl, Udc e Lega votano l’emendamento Api che assegna il premio di maggioranza solo a chi supera il 42,5%. Pd e Sel vedono azzerate le loro mire di governo, frenato il M5S e Parlamento ingovernabile] –
Giornata nera, ieri, per Pier Luigi Bersani. La notizia brutta è quella che l’ha fatto indignare pubblicamente: la commissione Affari Costituzionali del Senato ha approvato con ampio consenso (favorevoli Pdl, Lega, Udc e Mpa, contrari Pd e Idv) un emendamento alla riforma della legge elettorale che assegna il premio di maggioranza solo a chi ottiene il 42,5% dei voti. Una modifica che, di fatto, sfila la poltrona di premier dalle terga del segretario. La notizia orrenda è invece quella che l’ha fatto incavolare in privato, ovvero la frase buttata lì – a sorpresa - da Mario Monti durante il viaggio di Stato in Laos: «Politicamente sarebbe di molto preferibile» che la legge elettorale fosse riscritta dai partiti, ma se questi non lo faranno è «tecnicamente immaginabile» un intervento del governo.
Se il presidente del Consiglio dice una cosa simile è perché, d’intesa con Giorgio Napolitano, vuole mandare un messaggio preciso al Parlamento: né Bersani né altri s’illudano di affossare la riforma della legge elettorale durante lo scrutinio segreto alla Camera (ipotesi più che probabile secondo i bookmakers di Montecitorio), perché il governo è pronto a prendere in mano il provvedimento. Ipotesi estrema, clamorosa, ma attuabile.
E il testo dell’esecutivo, inevitabilmente, non potrà che essere simile a quello approvato ieri, almeno nel punto che fa più male al Pd: la nuova legge dovrà comunque prevedere una soglia per la conquista del premio, perché questo chiede una sentenza della Corte Costituzionale i cui rilievi sono ritenuti imprescindibili dal presidente della Repubblica.
Se approvata definitivamente, la soglia, oltre a mandare in frantumi i piani di Bersani e Nichi Vendola, renderebbe impossibile la conquista del Parlamento da parte dei grillini. L’ipotesi di un Movimento 5 Stelle primo partito d’Italia non è più roba da fantapolitica, ma un’eventualità che, visto quanto accaduto in Sicilia, preoccupa Napolitano ogni giorno di più. Come ha detto Francesco Rutelli, autore dell’emendamento: «Non si può dare il 55%» dei seggi «a chi prende il 30%» dei voti, «sennò lo prende Grillo».
La sentenza della Consulta fu depositata il 30 gennaio del 2008 e riguardava l’ammissibilità dei referendum elettorali proposti da Mario Segni e Giovanni Guzzetta. Nel passaggio chiave, quello che adesso rischia di condannare Bersani all’astinenza perpetua da premiership, si sottolineavano «gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi». Come ripete Napolitano ai leader di partito che salgono al Quirinale, non è concepibile una riforma che non tenga conto di tale rilievo.
Insomma, per Bersani adesso la scelta pare essere tra la ghigliottina del Parlamento e la mannaia del governo. Il Pd ieri ha barcollato. Prima il capogruppo al Senato, Anna Finocchiaro, ha detto che il dialogo con gli altri partiti doveva considerarsi «certamente» chiuso. Arroccarsi, però, non farebbe altro che aumentare l’ostilità del Quirinale. Così, qualche ora dopo, le teste d’uovo del Partito democratico hanno sfoderato la controproposta, peraltro nell’aria da giorni: il Pd proverà ovviamente a ridurre la soglia, ma intanto tenta di introdurre un “premietto” di consolazione per chi non dovesse raggiungere la fatidica soglia. Stefano Ceccanti, senatore e politologo democratico, chiede di assegnare un 10% in più al primo partito. Il Pdl e gli altri concordano sul principio, ma non sull’entità: il 5% è ritenuto un omaggio più congruo. Sembrano cavilli, ma è da questi numeri che dipendono la composizione del prossimo parlamento e il nome del futuro premier: attorno ad essi i partiti litigheranno almeno sino a Natale.
Ma la semplice introduzione di una soglia già basta ad azzoppare la corsa della sinistra. Il generoso sondaggio fatto da Emg per il Tg7 di lunedì attribuiva al Pd il 29,9% dei voti e a Sel il 5,3%: messi assieme, i due partiti sono lontanissimi dal 40%, che potrebbe essere la soglia “limata” in seguito alle trattative (più in basso di così Pdl e Lega non intendono spingersi). Quindi niente premio di maggioranza e niente governo Bersani - Vendola.
Lo stesso premietto di consolazione proposto da Ceccanti servirebbe a poco: dare il10%al primo partito, ammesso che questo sia davvero il Pd, porterebbe la coalizione al 45% dei seggi. Se dopo il voto si unisse a loro l’Udc, valutata attorno al 5%, la strana alleanza controllerebbe a malapena metà del Parlamento: davvero troppo poco per governare.
Così, quando dice che «c’è qualcuno che, per paura che governiamo noi, vuole impedire la governabilità del Paese», il segretario del Pd ha le sue buone ragioni (e il primo nella lista dei «qualcuno» vive al Quirinale). Ma è facile anche notare le contraddizioni di un partito erede di una tradizione, quella del Pci, che ribattezzò «legge truffa» la norma con cui si votò nel 1953, per il semplice fatto che assegnava un premio di maggioranza a chi raggiungeva il 50% dei voti. E che pretende di avere il pieno controllo di Montecitorio con un’alleanza che vale il 35%. Se quella era una truffa, questa come la chiamiamo?