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 2012  novembre 06 Martedì calendario

L’ira missina al funerale di Rauti Sputi e spinte a Fini: «Badoglio»- La rabbia e l’orgoglio missi­no

L’ira missina al funerale di Rauti Sputi e spinte a Fini: «Badoglio»- La rabbia e l’orgoglio missi­no. L’odio per il Traditore.L’acco­glienza riservata alla terza carica dello Stato sul sagrato della chiesa di San Marco per l’ultimo saluto a Pino Rauti è carica di disprezzo. È la resa dei conti tanto attesa, da consumare in un momento qua­lunque ma consumata nel posto sbagliato. Passata la mezza, sotto il cielo uggioso di Roma s’odono grida inumane, volano sputi, spin­toni, fischi, manici d’ombrelli, schiaffi che non arrivano a colpire Gianfranco Fini solo grazie alla scorta che gli fa da scudo. La colon­na sonora dell’ennesimo funera­le politico del presidente della Ca­mera va edulcorata per decenza: «Giuda», «maledetto», «infame», «bastardo», «poveraccio», «buffo­ne », «Badoglio», «pagliaccio», «la­dro », «carogna», «torna a Monte­carlo », «provocatore», «esci dalla chiesa», «fuori, fuori, fuori, fuori, fuori...». L’ira di Dio nella casa del Signore. Il replay di una scena già vista con l’ex presidente Scalfaro aggredito dalla gente di Palermo rimasta orfana del giudice Borsel­lino e stanca delle Istituzioni in passerella. Lui, strattonato dai gorilla e dal­la folla, tiene lo sguardo basso ter­rorizzato da quella gogna di brac­cia tese. Affretta il passo fin dentro la basilica barocca per guadagna­re fiato e riparo. Rimbomba forte il «Boia chi molla» alle sue spalle quando la messa è cominciata da un po’. La funzione per celebrare il segretario del Msi e il fondatore di Ordine Nuovo però s’interrom­pe più volte poiché gli insulti non danno scampo all’ultimo arriva­to. Lo inseguono dalla strada, lo braccano dentro, irrompono dai banchi della navata centrale che Fini percorre a fatica prima di tro­vare una panca accanto al feretro nel tricolore, tra l’ex sottosegreta­rio Mantovano e la vedova Almi­rante. Nella chiesa cara ai fascisti romani per la vicinanza con piaz­za Venezia e la messa in suffragio di Mussolini officiata da chi non fa mistero di alternare la fede cristia­na a quella per la fiamma, Isabella Rauti, figlia di Pino e moglie del sindaco Alemanno, supplica si­lenzio. «Vi prego, non è questo il momento, è il funerale di mio pa­dre. Abbiate rispetto per lui e per la mia famiglia». E così sia. Cala il silenzio, è l’ora della preghiera e del ricordo. Con Fini che arriva, c’è uno Storace che se ne va disgu­stato dalla «provocazione». Il presidente della Camera sen­te gli occhi del suo vecchio popolo addosso.Fissa il nulla sopra il cro­ci­fisso e terminata l’omelia per evi­tare il bis esce dal retro. Mischiati tra i banchi, a capo chino, restano gli ex rautiani di sicura fede finia­na Granata, Perina e Barbaro, più in là, di lato, uno stanco Lamorte. L’aria si fa cupa anche tra i vecchi missini tipo Gasparri, Matteoli, La Russa, Landolfi, Gramazio, Vie­spoli, o tra i più «giovani» eredi co­me la Meloni, Rampelli, Augello. Non fiata il «caccola» Delle Chia­ie, non spiccica parola l’editore nero Ciarrapico, non commenta Guido Paglia a cui Fini raccoman­dò il cognato in Rai. L’atmosfera si rasserena solo dando fiato al «pre­sente » all’aria aperta, la bara a spalla, cantando e stonando l’in­no hobbit del «domani appartie­ne a noi». Amici, vecchi militanti, colle­ghi del Tempo seguono Rauti al ci­mitero. Le polemiche sembrano placate quando si sono in realtà spostate dal sagrato alle agenzie di stampa, e da qui a blog e social network. Storace, per dire, non ci gira troppo intorno: «Il presidente della Camera, pur volendo rende­re omaggio a Rauti, ha agito a fred­do. Ho appreso da funzionari del cerimoniale che la sua presenza non era prevista. Se ha deciso al­l’ultimo, ha sbagliato e di grosso. Su di lui si è scatenato il rancore di persone e comunità che si ritrova­vano nel lutto per un capo che se ne va in un mondo sempre più di­sperso e principalmente a causa sua. Avrebbe fatto bene ad aste­nersi, la sua è apparsa ai più una presenza provocatoria». Stessa idea, via Twitter, per la Santanché («Che vergogna presentarsi ai fu­nerali di una sua vittima ») e Corsa­ro, vicecapogruppo Pdl alla Came­ra ( «Fini è l’uomo,con la minusco­la, più squallido del mondo. Sareb­be stato meglio non salutarlo, trat­tarlo come il nulla che è...»). Con Fini arroccato nel suo uffi­cio a Montecitorio, rispondono al fuoco i soliti irriducibili difensori di Gianfry. «Da cittadino e da lea­der politico coraggioso- dice Gra­nata - Fini ha reso omaggio a un personaggio che fa parte della no­stra storia. A viso aperto, senza ri­correre al cerimoniale e affrontan­do le contestazioni ». Di più il colle­ga deputato di Fli Di Biagio: «La messa in scena da parte di genta­glia che ha poco a che fare con la politica è vergognosa e strumenta­le ».Per dirla come l’avrebbe detta Pino Rauti, almeno ieri a un certo punto sarebbe stato meglio «anda­re oltre». Oltre il rancore, oltre le polemiche. Soprattutto oltre i ri­petuti tradimenti di chi aveva fi­nalmente mostrato un po’ di co­raggio prima di scappare dalla sa­grestia.