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 2012  novembre 05 Lunedì calendario

Geniale, sexy, rock La mitica Fender compie mezzo secolo - Anche nel mondo schizoide del rock esistono oggetti che di­ventano classici, e l’esempio principe è la chitarra elettrica

Geniale, sexy, rock La mitica Fender compie mezzo secolo - Anche nel mondo schizoide del rock esistono oggetti che di­ventano classici, e l’esempio principe è la chitarra elettrica. Progetto minimale quanto ­darwinianamente - vincente: due o più pezzi di legno, corpo e manico, magneti, corde. Risul­tato, l’arma più potente di di­strazione - o forse liberazione ­di massa dell’ultimo mezzo se­colo. Il grande innovatore dello strumento fu Leo Fender, il ra­diotecnico che nel 1950 ebbe l’idea di costruire una chitarra economica e facile da riparare. E la Telecaster fu. Pochi anni do­po (1954) venne l’ancor più fa­mosa Stratoca­ster. Da allora di Fender ne abbiamo senti­te in ogni salsa. Delicate con Apa­che degli Shadows (ma anche con il tocco di polpastrello di Mark Knopfler dei Dire Straits), deva­stanti con Jimi Hendrix. Metal e fantasy con gli Iron Maiden, blues con Eric Clapton, liriche con David Gilmour dei Pink Floyd. Alternative con i Ra­diohead. Mito, feticcio o ogget­to d’uso comune, termine di ri­flessione sulle tentazioni nostal­giche, o sperabilmente sul futu­ro, ritroviamo la chitarra Fen­der in una mostra di Luca Beatri­ce (critico d’arte, curatore del Padiglione Italia a Venezia nel 2009) a Bologna, nelle sale del Museo Internazionale e Biblio­teca della Musica, a partire dal 16 novembre, fino al 3 febbraio 2013. Titolo: «Rewind, 50 anni di Fender in Italia». Il piatto forte della mostra so­no una serie di Fender «custo­mizzate » e reinventate da 21 ar­tisti italiani e internazionali: i linguaggi adoperati sono molto diversi, dalla pittura figurativa all’arte concet­tuale, dall’oggetto all’in­stallazione, dalla stre­et painting alla sound art. La personalizza­zone della chitarra e la sua trasforma­zione in icona vi­siva è stata l’os­sessione di va­ri musicisti, a cominciare con le Strato «psichedeli­che» di Hendrix, continuando con le folli verniciatu­re di Van Halen, per finire con l’attuale (retro) mania del «re­lic », che porta gli appassio­nati a spendere migliaia di euro per invecchiarle artificialmen­te. Ma in que­sto caso so­no diret­tamen­te gli ar­tisti, e non più i musici­sti, che in­t erpretano l’icona. Si va dal basso Fender «a fumet­ti » di Anthony Au­sgang, alla chitarra «cartonata» (con visto­si segni di imballag­gio) di Chris Gilmour, dalla Stratocaster tra­sformata in una sorta di oggetto d’arredamento della coppia Cuoghi e Corsello, alla mise en aby­me di Valerio Berruti, che raffigura un ragazzino chi­tarrista sul corpo di una chitarra. Ma il Rewind, il riavvol­gere il nastro, è anche docu­mentazione. Un allestimen­to di foto, scene e video rac­conta i grandi della musi­ca italiana che in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare con la Fender: da Adriano Celentano (che ebbe una Jaguar all’inizio degli anni ’60) ai seguaci di Elvis (Bobby Solo, Little Tony) fino al rock contemporaneo, da Vasco a Ligabue, dai Litfiba agli Afte­rhours, ma anche il pop rock de­gli Stadio o di Cesare Cremoni­ni, il progressive italiano (Area), e tutto il capitolo del can­tautorato: genovese, milanese, emiliano. Per arrivare all’hip hop. Un sorta di enciclopedia ­installazione di 50 anni di musi­ca, raccontata in modo temati­co, con l’ambizione di scrivere un capitolo di storia sociale del pop italiano. Il 1962 non è solo l’anno dell’uscita di Love me do dei Beatles, è anche l’anno in cui la chitarra rock per eccellen­za è sbarcata in italia. Merito di un austriaco, Hans Bauer, che nel 1948 aveva fondato la Casa­le Bauer, azienda di importazio­ne di violini, corde, articoli per orchestre. «Fu Don Randall, sto­rico manager della Fender, a in­contrare mio padre alla fiera di Francoforte», ha raccontato al Giornale la figlia Patrizia, attua­le presidente dell’azienda. «Lo convinse a importare da Fen­der, solo che in Italia nessuno aveva l’esigenza di usare una chitarra elettrica. C’erano le or­chestre di musica classica, il li­scio, e poco altro. Del primo stock di chitarre se ne vendette­ro due: una a Roma e una a Napo­li ». Ma proprio da quei due spa­ruti esemplari è iniziata la sto­ria, musicale e sociale, del pop italiano. Che non è solo nostal­gia o retromania, ma, almeno speriamo, ha ancora diverse co­se da dire.