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 2012  novembre 05 Lunedì calendario

Legge di stabilità, così il Prof si prende i meriti del Cavaliere - Ebbene sì: il governo che ha preceduto l’attuale è stato molto ambizioso

Legge di stabilità, così il Prof si prende i meriti del Cavaliere - Ebbene sì: il governo che ha preceduto l’attuale è stato molto ambizioso. E speria­mo che la cosa non venga conside­rata una colpa. Ambizioso non solo ad anticipare il pareggio di bilancio dal 2014 al 2013 ma, ripetiamolo, ambizioso e rigoroso per tutta la du­rata del suo mandato. Gliene do­vrebbe essere riconoscente il pro­fessor Monti. La lungimiranza e il pragmati­smo del governo precedente, sia dal punto di vista della fiducia «spintanea» accordata al governo tecnico, sia per quanto riguarda le misure varate nei 3 anni e mezzo di attività (prima di cedere il passo), hanno,infatti,permesso all’ottimo esecutivo Monti di centrare tutti gli obiettivi di finanza pubblica e di tentare, addirittura, con la Legge di stabilità per il 2013, in discussione in questi giorni in Parlamento, il col­po grosso finale: ridurre l’Irpef. MatorniamoallaLeggedistabili­tà per il 2013, nella formulazione originariamente e orgogliosamen­te proposta dall’esecutivo tecnico. E cominciamo a fare chiarezza: es­sa ha un valore qualitativo, di distri­buzione delle po­ste di bilancio nel­l’ambitodeisaldidifinanzapubbli­ca già fissati nel Documento di eco­nomia e finanza ( Def) di aprile e nel­la relativa Nota di aggiornamento di settembre. Ed è proprio qui che l’attuale esecutivo ha fatto male i suoi conti: da un lato, intestandosi meriti che non erano solo suoi pro­pri, e,soprattutto,dall’altro,propo­nendo una riallocazione povera, banale e priva di significato delle ri­sorse che il sovradimensionamen­to della sua prima manovra «Salva Italia» aveva creato. Per questa ra­gione si è resa necessaria una riscrit­tura, più intelligente, e anche più ri­spettosa della verità storica, da par­te della maggioranza parlamenta­re che sostiene questo governo. Maggioranza che per la prima vol­ta nell’anno di Monti torna protago­nista. Evidentemente, l’esecutivo tecnico ha peccato di sicurezza. E non è la prima volta. Ma noi siamo pazienti, econtinuiamoaracconta­re come stanno le cose. A Prima verità: gli obiettivi del pareggio di bilancio erano stati già raggiunti. Il peggioramento della congiuntura economica nell’euro­zona nell’autunno 2011, tuttavia, ha reso necessario un ulteriore in­tervento sui conti dello Stato, cui ha provveduto, appena nato, a di­cembre 2011, il governo Monti, con il decreto «Salva-Italia», il cui impatto complessivo sulle finanze pubbliche, nel triennio 2012-2014, era di 63 miliardi. Manovre, dun­que, per un totale di 328 miliardi di euro, dal 2008 al 2014, per raggiun­gere il pareggio di bilancio nel 2013.Il governo Berlusconi ha con­tribuito per l’ 80% al conseguimen­to di tale obiettivo, il governo Monti per il restante 20%. B Altra verità inoppugnabile: il governo Monti ha sovradimensio­nato le sue misure di politica econo­mica, evidentemente prendendo per buona la pistola puntata alla no­stra tempia da Angela Merkel. È co­sì che siamo arrivati al Documento di economia e finanza (Def) di apri­le 2012, e alla relativa nota di aggior­namento di settembre, con i conti in ordine. Anzi di più. Siamo arriva­ti con un valore dell’indebitamen­to netto strutturale in rapporto al Pil a +0,2% nel 2013. Che cosa vuol dire questa astrusa definizione? L’indebitamento netto strutturale è l’indicatore sul quale si basano i nostri impegni con l’Europa, pri­mo fra tutti il pareggio di bilancio. C L’obiettivo fissato con l’Euro­pa era il bilancio in pareggio (inde­bitamento netto strutturale/PIL = 0%), ma agli Stati è concessa dal fi­scal compact una banda di oscilla­zione di mezzo punto ( close to ba­lance ). In altri termini, saremmo stati virtuosi e avremmo raggiunto l’obiettivo anche se avessimo regi­strato- 0,5% invece di 0% (la Germa­nia, ad esempio, fa -0,2%). Ma, da bravi allievi di Angela Merkel, ab­biamo voluto fare i primi della clas­se, finendo con un più, quando po­tevamo permetterci anche un pic­colo, ma significativo, meno. Regi­strare + 0,2%invece di-0,5%vuol di­re che a dicembre 2011 abbiamo fat­to una manovra di 10-12 miliardi superiore rispetto a quanto neces­sario. Insomma, non solo siamo stati costretti ad anticipare il pareg­gio di bilancio al 2013 ma abbiamo anche fatto un’ulteriore manovra, il «Salva Italia», fuori misura. Così producendol’avvitamentorecessi­vo della nostra economia. D Il nostro paese ha assunto anti­biotici in eccesso. Per usare un ter­mine tecnico, il governo ha fatto overshooting . Ha fatto, cioè, più di quanto necessario, sovradimensio­nando l’entità delle manovre ri­spetto alla misura ottimale. Se a ciò aggiungiamo due cattive riforme, quella delle pensioni e quella del mercato del lavoro, ci sono tutti gli elementi per distruggere anche la più forte economia. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: recessione, di­soccupazione, crollo degli investi­menti, crollo dei consumi, negozi che chiudono, imprese che licen­ziano. E Veniamo alla Legge di stabili­tà. Il semestre europeo prevede che, a metà ottobre di ogni anno, i governi formalizzino in una corni­ce legislativa quanto contenuto nei documenti elaborati nei mesi pre­cedenti. E lo strumento per fare ciò è noto. È la Legge di stabilità. Nel­l’a­mbito dei saldi di bilancio già fis­sati dal governo e rivisti appena un mese prima, in ragione del quadro macroeconomico più recente, la Legge di stabilità alloca le risorse nelle diverse poste contabili. Essa riporta, oltre all’indebitamento netto, il saldo netto da finanziare e il ricorso al mercato. Il saldo netto da finanziare corrisponde alla som­ma dell’indebitamento netto e il saldo delle partite finanziarie. È, cioè, dato dalla differenza tra le en­trate finali e le spese finali di parte corrente e in conto capitale del bi­lancio dello Stato, cui si aggiungo­no le operazioni finanziarie attive. Il ricorso al mercato, invece, corri­sponde alla somma del saldo netto da finanziare e del rimborso di pre­stiti, ed è, quindi, dato dalla diffe­renza tra tutte le entrate e tutte le spese dello Stato, sia di parte cor­rente sia in conto capitale, incluse le partite finanziarie. F Questo è il primo ( e ultimo) di­segno di Legge di stabilità presenta­to dall’esecutivo tecnico, perché quello del 2012 era stato varato in extremis dal «governo preceden­te ». Ed è qui che il professor Monti ha tirato fuori dal cappello, come abbiamo visto, il suo surplus di 2,9 miliardi, cercando di distribuirlo ai cittadini attraverso la riduzione del­l’Irpef. Intento lodevole, ma con il trucco:al taglio dell’Irpef si accom­pagnava l’imposizione di grossi ( re­troattivi!) limiti alle deduzioni e al­le detrazioni fiscali, e l’aumento dell’Iva,anche sui beni di largo con­sumo. Proprio quelle aliquote Iva che lo stesso governo aveva assicu­rato che non sarebbero state tocca­te grazie ai risparmi derivanti dalla sua mitica Spending review . Risul­tato: a conti fatti la pressione fiscale finiva per aumentare, nonostante i buoni propositi. Da un lato si butta­va via il tesoretto dei 2,9 miliardi, e dall’altro si mettevano le dita negli occhi dei cittadini più deboli. Il tut­to sotto l’inutile spruzzata di ridu­zione dell’Irpef, che nessuno aveva chiesto.D’altra parte,a guardar be­ne, caroprofessorMonti, nonèque­sto il modo di fare la riforma fiscale. Il«governo precedente»aveva,for­se, le idee un po’ più chiare: tre ali­quote ( in luogo delle cinque attua­li) del 20%, del 30% e del 40%. Una rivoluzione che avrebbe potuto fi­nalmente ridare slancio al nostro paese. G Di fronte a una Legge di stabili­tà «stupida», la maggioranza ritro­va coesione e fiducia. Lasciamo per­dere l’inutile Irpef, concentriamo­ci sul cuneo fiscale e salviamo i più deboli e i più poveri. Buon senso, semplicemente. Perché ridurre il cuneo fiscale? Perché in Italia è più elevato di oltre il 10% rispetto la me­dia Ocse. E da esso discendono i no­stri annosi problemi in termini di produttività e di competitività. Quale migliore occasione, avendo i conti in ordine, per ridurre il costo del lavoro, in una prospettiva di cre­scita? Quale migliore occasione per un cambio di passo nella politi­ca economica restrittiva e recessi­va finora seguita dal governo? I con­ti sono presto fatti. Piuttosto che una minima riduzione dell’Irpef per il totale dei contribuenti, i cui ef­fett­i sarebbero risultati impercetti­bili a livello macroeconomico, me­glio destinare quelle risorse ai lavo­ratori e alle imprese per fare insie­me più produttività e più competiti­vità. A maggior gloria dell’econo­mia italiana, dei suoi consumi e del­la sua capacità di crescita. Un se­gnale questo non solo all’interno del paese, ma anche all’esterno. H Se riparte l’Italia riparte l’Euro­pa. Al cospetto degli altri paesi del­l’eurozona, infatti, saremo più forti dando finalmente segnali di cresci­ta. Senza subire gli inutili ulteriori cinque anni di sangue, sudore e la­crime di cui va predicando la solita Angela Merkel. Più una minaccia, che una previsione. Forse, presi­dente Monti, sarebbe il caso di dire, una volta per tutte, basta.