Laura Verlicchi, il Giornale 4/11/2012, 4 novembre 2012
Sorpresa: ora i giapponesi producono in Italia - Il Giappone delocalizza in Val d’Elsa. La prova che eiste un’Italia capace, nonostante tutto, di attirare gli investimenti stranieri si chiama Ihimer: la joint venture, frutto dell’alleanza tra l’azienda toscana Imer Group e la giapponese Ihi, un colosso che spazia dall’aeronautica alla meccanica
Sorpresa: ora i giapponesi producono in Italia - Il Giappone delocalizza in Val d’Elsa. La prova che eiste un’Italia capace, nonostante tutto, di attirare gli investimenti stranieri si chiama Ihimer: la joint venture, frutto dell’alleanza tra l’azienda toscana Imer Group e la giapponese Ihi, un colosso che spazia dall’aeronautica alla meccanica. Entro il 2014 la maggior parte della produzione di macchine movimento terra sarà trasferita a Cusona, nella zona di San Gimignano (Siena), con un investimento di 3,5 milioni: un colpo grosso, per un distretto storico,certo,dell’industria meccanica, ma penalizzato dalle dimensioni. E da lì mini escavatori e pale gommate si venderanno in tutto il mondo, come spiega orgogliosamente il vice presidente Paolo Venturi, che rappresenta l’ «anima italiana» di Ihimer- quella giapponese è incarnata dal presidente, Tsutomu Kicuchi,alle spalle un’esperienza trentennale nel colosso Ihi- e che ha seguito il progetto fin dalle prime battute. «Il primo accordo risale al 1989, quando è iniziata la commercializzazione in Italia degli escavatori Ihi: nel ’94 è arrivata la licenza di costruzione per produrre le macchine in Europa, e l’intesa si è poi consolidata dieci anni fa- racconta Venturi - Ora la nostra partnership ha un’ambizione globale, che noi sintetizziamo con la sigla 4G». Una lettera e un numero per riassumere un impegno a tutto campo, dove la parola chiave è «global ». É su scala globale, infatti, che le due società, fianco a fianco, devono misurarsi in tutti i campi: a cominciare dall’approvvigionamento, attraverso un’analisi a 360 gradi per trovare il miglior compromesso tra qualità e prezzo. E naturalmente, ingenti investimenti in ricerca e sviluppo, che hanno permesso di accrescere la qualità e l’innovazione delle macchine, e una rete di distribuzione capillare. L’obiettivo, rafforzarsi in Europa, che rappresenta una fetta importante del mercato: la strategia, spostare nel Vecchio Continente una quota della produzione, in modo da ridurre i costi e ammortizzare la differenza tra euro e yen. E la scelta è caduta sull’Italia. «Cusona è l’unica struttura produttiva non asiatica del gruppo - dice Venturi - , le altre sono in Cina e in Giappone: ma i cinesi comprano qui le macchine più piccole, quelle fino a 20 quintali, dove la differenza di costo è significativa. Produciamo anche modelli più grandi, che sono l’80% delle vendite in Europa, e dal prossimo anno completeremo la gamma con le pale gommate, tutto gestito direttamente a livello di progettazione, produzione e distribuzione. La sfida poi è di conquistare con la produzione italiana il mercato americano e il Nord Africa». Il che significa raddoppiare la produzione in tre anni, e assumere di conseguenza: attualmente lo stabilimento di San Gimignano impiega 56 dipendenti, entro il 2014 ne arriveranno altri quaranta. In tempi come questi, sono numeri di tutto rispetto: e spingono a chiedere con quale «arma segreta »l’azienda toscana abbia convinto i giapponesi, notoriamente restii a condividere il business, a investire in Italia. Venturi non ci pensa a lungo: «Affidabilità- è la sua risposta- . Abbiamo avuto vent’anni di lavoro fianco a fianco per convincerli definitivamente che il made in Italy non è solo genialità, come spesso si pensa all’estero,ma anche metodo.In un certo senso, siamo stati più convincenti del sistema Paese». Perchè di sassolini da togliersi dalle scarpe, Venturi ne ha parecchi: «Qui siamo in Toscana, che non è certo l’ultima regione italiana a livello di strutture. Però la strada per arrivare allo stabilimento è tagliata da un passaggio a livello che obbliga ad attese infinite, l’aeroporto di Firenze sposta i voli in continuazione e per fare le videoconferenze devo usare Skype. Non si può pretendere che le aziende straniere vengano qui, creino posti di lavoro e in cambio non offrire niente, come fa lo Stato italiano. Faccio un esempio: a suo tempo, in Turchia in sei mesi abbiamo messo in piedi uno stabilimento, permessi compresi, su un terreno messo a disposizione gratis dallo Stato. Mentre qui in Italia solo per partecipare a un bando la burocrazia assorbe le energie delle aziende per un mese».