Maurizio Ferraris, la Repubblica 8/11/2012, 8 novembre 2012
Per Schiller (con la c) l’uomo è veramente uomo solo quando gioca, per Shiller (senza c) solo quando gioca in borsa
Per Schiller (con la c) l’uomo è veramente uomo solo quando gioca, per Shiller (senza c) solo quando gioca in borsa. In Finanza e società giusta (il Mulino) Robert J. Shiller, che insegna economia a Yale, difende la moralità della finanza in un mondo che non l’ha mai amata, e che ora la ama meno che mai. L’impresa è importante: una finanza screditata non è mai una buona cosa, come si è potuto verificare nella crisi del ’29, quando la rivolta contro i “Banksters” (Bankers + Gangsters) fu una delle origini dei movimenti di estrema destra che culminarono nel nazismo. Tuttavia Shiller, già autore degli Spiriti animali, adotta una strategia quasi provocatoria: la finanza non persegue il profitto, è una attività artistica che «permette di sfogare l’aggressività in modo sostanzialmente costruttivo e senza perdite di vite umane». Di colpo invece che in un saggio, ci si sente subito nel duetto tra Zerlina e Don Giovanni: “Io so che raro / colle donne voi altri cavalieri / siete onesti e sinceri”. “È un’impostura / della gente plebea! La nobilità /ha dipinta negli occhi l’onestà”. E proprio questo rende la lettura sorprendente: si scopre l’altro lato del mondo. Di chi lo guarda dall’alto e pensa che tanto più si rischia e si fa rischiare, tanto più l’economia ne trarrà vantaggio. La fenomenologia delle figure economiche incomincia con gli amministratori delegati e si conclude con i filantropi, non a caso perché l’assunto è che la finanza sia essenzialmente filantropia: «Si trae piacere dal realizzare un prodotto pregevole o dall’aiutare i clienti, dal dare un lavoro ai dipendenti». Ma allora perché gli amministratori delegati sono pagati così tanto? Shiller risponde: «Gli amministratori delegati di solito non sono particolarmente amati o popo-lari, con poche eccezioni. Quindi, una remunerazione elevata è il miglior modo di attrarre candidati qualificati per questo compito». Perché sono così impopolari? Per via delle calunnie dei media. E comunque la crescita dei compensi dipende dal «miglioramento del nostro sistema capitalistico, che è giunto a riconoscere l’importanza di leader qualificati». Che dunque la sproporzione tra il pagamento degli operai e quello degli amministratori delegati sia infinitamente superiore a decenni fa deve essere visto non come un inaccettabile aumento delle disuguaglianze ma come un progresso dell’umanità nel suo insieme. E, chiosa Shiller, questo è il motivo per cui un gruppo di consulenza di cui fa parte «ha ammonito il governo a non emanare regole in materia di remunerazione degli ammini-stratori delegati». Ma come avrà fatto questa casta di maschi alfa a sbagliare così di grosso, per esempio in tema di mutui? «Perché hanno operato sulla base della congettura errata che le agenzie di rating fossero infallibili». Ora, pensare che una qualsiasi istituzione umana sia infallibile non è proprio sensato, ma aiuta a vedere come i ragionamenti possano essere ribaltati. Infine ci sono i Trader che «suscitano il risentimento maggiore, dal momento che essi non si presentano come operatori che aiutano la società in modo diretto». Eppure, prosegue Shiller, il loro operato «rende i mercati finanziari più rappresentativi delle nostre esigenze », permettendo con ciò di «far avanzare gli obiettivi principali del movimento Occupy Wall Street». Per parte loro, i market designer «umanizzano la finanza e la rendono più rilevante per il benessere umano». Ora è evidente che queste, dati i risultati degli ultimi anni, sono tutte affermazioni difficili da condividere: si tratta di una sorta di utopismo finanziario che ha creato molto dibattito negli Usa, poiché come ha scritto il New York Times, recensendo il libro, «Shiller non pensa di dover contenere la finanza, ma di realizzarla». E questo è il punto chiave. Nell’antropologia tratteggiata dal volume, il solo genere nocivo sono i professori, su cui grava una buona fetta di responsabilità della crisi: «Gli errori commessi dai docenti nei decenni passati sembrano avere svolto un ruolo importante nella grave crisi finanziaria». La nocività cresce in maniera proporzionale all’allontanarsi dal centro della finanza, culminando forse nelle vittime della crisi economica, perché ovviamente senza quelle vittime nessuno sarebbe autorizzato a criticare la finanza. E qui si arriva all’ultimo punto delle tesi estremistiche di Shiller: all’inizio del ’900 alcuni credettero che la guerra avrebbe portato ricchezza e, soggiacendo a questa illusione fatale, si è andati incontro a una catastrofe; all’inizio del 2000 altri si sono illusi che fosse conveniente truffare le persone, per esempio concedendo mutui insolvibili o inducendole a comprare titoli spazzatura, ed è stata un’altra catastrofe. L’analogia con la guerra fa pensare. Perché è indubbio che le illusioni danneggiano, ma intanto è più responsabile chi queste decisioni le prende, cioè i generali e i banchieri, e non chi le subisce, magari consapevolmente ingannato, cioè i soldati e i clienti. E soprattutto il rischio di chi prende le decisioni è minimo rispetto a quello di chi le subisce: come il generale difficilmente morirà in battaglia, così il banchiere difficilmente finirà sotto un ponte. Ed è forse questo il lato più debole del libro. Perché se è vero che ci rivela cose che conosciamo pochissimo (da quanti avvocati ci sono nel mondo, al profilo degli assicuratori fino a una storia dei mutui) è anche vero che nella necessità di giustificare la finanza l’autore passa dal ragionamento alla visione. Fino a incitare i giovani idealisti a fare carriera nell’ambito dei derivati.