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 2012  novembre 08 Giovedì calendario

Nella stessa settimana scopriamo l’identità dei nuovi leader delle due superpotenze mondiali: Barack Obama e Xi Jinping

Nella stessa settimana scopriamo l’identità dei nuovi leader delle due superpotenze mondiali: Barack Obama e Xi Jinping. Di Obama sappiamo solo ora dopo il voto di martedì, di Xi invece già ben prima che sia ufficialmente nominato capo del partito comunista, per diventare presidente la prossima primavera. Il lungo percorso di nomina cinese inizierà infatti oggi nella Grande Sala del Popolo a Bejing. Quale delle due superpotenze è destinata a rafforzarsi? Quale si trova ad affrontare la crisi economica e politica più grave? Per quanto possa suonare contraddittoria, la risposta è una per entrambi i quesiti: la Cina. Per semplice questione di dimensioni, per il cosiddetto “vantaggio dell’arretratezza”, grazie all’imprenditorialità della sua gente, alla storia di stato imperiale, e alla brama individuale e collettiva di “ricchezza e potere” (proverbiale in cinese), la Cina andrà a rafforzarsi e quindi, dato che il potere è sempre relativo, gli Stati Uniti andranno, relativamente, a indebolirsi. La Cina però è anche affetta da profondi problemi sistemici che, se non affrontati, possono rallentarne la crescita e renderla uno Stato instabile, imprevedibile e addirittura aggressivo. Negli ultimi cinque anni, già a partire dal tramonto di George W. Bush, gli USA hanno attraversato un periodo molto difficile. Senza alcuna maligna soddisfazione predico che la Cina avrà à i suoi bei guai nel prossimo quinquennio. I problemi dell’America li sappiamo, i media ne hanno parlato ampiamente in campagna elettorale e Obama vi ha fatto preciso riferimento nel suo discorso di accettazione dai toni a tratti didascalici, quasi una lezione di educazione civica. Deficit e debito, il congresso bloccato, un enorme volume di norme tributarie, scuole e infrastrutture trascurate, la dipendenza dal petrolio straniero, la stretta della finanza sulla politica: non sono problemi da prendere alla leggera. Ma li conosciamo bene, e questo è il punto. Non conosciamo invece a fondo i problemi della Cina perché ai media cinesi non è permesso di darne adeguata notizia. Nei dibattiti ufficiali dello statopartito le problematiche sono nascoste dietro i codici di un linguaggio ideologico. La Cina avrebbe qualche problema di sviluppo anche se vantasse il miglior sistema politico del mondo avendo vissuto la rivoluzione industriale più veloce e più massiva della storia umana. La popolazione urbana è cresciuta di circa 480 milioni in 30 anni, tanto che ormai più della metà dei cinesi vive nelle città. Può essere che la Cina si approssimi al cosiddetto “punto di svolta di Lewis”, ossia al progressivo esaurimento della manodopera a basso costo proveniente dalle campagne. Deve inoltre badare alla domanda interna perché non può puntare in eterno sul consumo Usa come ultima ratio. Molti dei problemi derivano però dal particolare sistema cinese, che può definirsi Capitalismo Leninista. Dato che il sistema elettorale americano è stato illustrato nei dettagli fino alla noia, voglio ricordarvi come funziona quello cinese. I 2.270 delegati al diciottesimo congresso nazionale del Partito comunista cinese che inizia oggi “eleggono” i membri del Comitato centrale (370 o giù di lì) , che a loro volta “eleggono” la ventina di membri del Politburo, che a loro volta “eleggono” i nove, o forse ora solo sette, membri del Comitato permanente, l’organo al vertice dello stato-partito. Tutte le nomine saranno state decise in anticipo, a seguito di scambi e intrallazzi a porte chiuse. Vladimir Ilyich Lenin approverebbe incondizionatamente. Ma allo stesso tempo l’immenso stato cinese vive una fase sempre più intensa di decentralizzazione più o meno incontrollata e una sorta di capitalismo ibrido privo di regole, che farebbero sciogliere la cera sulla fronte della mummia di Lenin. Ne deriva uno sviluppo economico dinamico, ma deformato, che vede ad esempio le amministrazioni locali debitrici di enormi somme inesigibili nei confronti di istituzioni finanziarie controllate dallo stato-partito. Definire “subottimale” la ripartizione del capitale in Cina sarebbe un eufemismo. La connessione tra finanza e politica sarà anche uno dei motivi principali del blocco del sistema americano, ma lo stesso vale per la Cina. Nell’ex Unione Sovietica e in Europa Orientale ex leader di partito si sono arricchiti a dismisura praticando il capitalismo “in famiglia”. In Cina, le loro controparti si sono arricchite a dismisura praticando il capitalismo “in famiglia” ma hanno mantenuto i loro incarichi. Secondo un recente rapporto Bloomberg il patrimonio privato della famiglia del futuro presidente Xi si avvicina al miliardo di dollari. Il New York Times stima in 2,7 miliardi di dollari quello della famiglia del premier uscente, Wen Jiaobo. Le due famiglie unite avrebbero potuto finanziare l’intera campagna elettorale americana. In Cina, come in qualunque altra parte del mondo, la crisi può sfociare in riforme o in rivoluzione. Pregate che porti riforme. La riforma, se ci sarà, non avrà mai come risultato una democrazia liberale di stampo occidentale, quantomeno in tempi brevi. Ma persino alcuni analisti del partito comunista ammettono che, nell’interesse nazionale cinese del lungo periodo, i cambiamenti dovranno andare in direzione dello stato di diritto, dell’assunzione di responsabilità, di una maggiore tutela sociale e di uno sviluppo ecologicamente sostenibile. Noi, nel resto del mondo, abbiamo un interesse vitale a che le riforme in America e in Cina abbiano successo. La bellicosità nel Pacifico asiatico tra alleati della Cina e dell’America preoccupa moltissimo già in uno stadio così relativamente precoce della rivalità emergente tra superpotenze. Da un recente sondaggio Pew risulta che l’opinione pubblica cinese e quella americana nutrono crescente reciproca disistima. Quando i Paesi sono insoddisfatti e incapaci di risolvere i propri problemi strutturali a livello interno, tendono a sfogare all’estero la loro rabbia. Dobbiamo auspicare quindi il successo di entrambe le superpotenze. Traduzione di Emilia Benghi