Antonio Talia, Panorama 8/11/2012, 8 novembre 2012
I PROSSIMI DIECI ANNI DEL DRAGONE
PIÙ EXPORT O PIÙ CONSUMI INTERNI?
Cruciale nel dibattito sarà come assicurare una crescita costante alla nazione. Negli ultimi 10 anni la Cina si è affermata come seconda economia del mondo, ma sta anche registrando i tassi di crescita più bassi dall’inizio della crisi globale. Quale è la ricetta per il futuro? Accorciare la distanza fra ricchi e poveri, mai così ampia nella storia della Cina, e quindi incrementare i consumi interni? Oppure promuovere politiche capaci di sostenere la crescita e poi aspettare che la mano invisibile dell’economia colmi le differenze? Tra gli alfieri di quest’ultima soluzione c’è Wang Yang, governatore della ricca provincia del Guangdong. Mentre il rivale Bo Xilai (leader del partito caduto in disgrazia a marzo) promuoveva campagne neomaoiste, lui indirizzava agli imprenditori la «lettera dei mille caratteri». «Mantenere i successi raggiunti è più difficile che vincere» ha scritto Wang Yang. «Se i risultati della prima generazione d’imprenditori continueranno a dare frutti dipende in larga parte dai loro successori, che devono essere creativi e fare la differenza con l’innovazione». Segnali di apprezzamento per le politiche di Wang Yang sono arrivati da Angela Merkel, che l’ha incontrato a febbraio durante una visita in Cina. Se Wang Yang entrasse nel comitato permanente del politburo, il cuore del potere cinese, i promotori delle riforme di mercato avrebbero una sponda in più.
FAVORIRE LE AZIENDE DI STATO O QUELLE PRIVATE?
Il rapporto China 2030, compilato dalla Banca mondiale e dal Centro ricerche e sviluppo, influente pensatoio legato al governo cinese, è stato presentato a Pechino nel febbraio di quest’anno dall’allora presidente della Banca, Robert Zoellick, con il sostegno di Li Keqiang, attuale viceprimo ministro e futuro premier. Il dossier solleva tutte le questioni economiche più spinose sul modello che ha garantito il successo della Cina. Nel mirino ci sono le grandi imprese di stato, che controllano settori chiave come l’energia, le risorse naturali, le telecomunicazioni, le infrastrutture; dominano gli appalti pubblici, chiudendoli agli stranieri; si espandono all’estero e ottengono prestiti facili dalle banche; ma bloccano l’accesso al credito per i privati, paralizzano la concorrenza, obbediscono alla politica. Quelle capaci di generare profitti sono costrette a ridistribuirli alle altre, spesso carrozzoni improduttivi. Secondo China 2030, sono necessari cambiamenti radicali: completamento della transizione verso un’economia di mercato e apertura alle innovazioni. China 2030 può diventare l’agenda della nuova leadership cinese? L’appoggio di Li Keqiang, esponente della fazione che fa capo all’ex presidente Jiang Zemin, ha un forte peso. Tuttavia, il prossimo leader massimo e presidente della repubblica, Xi Jinping non si è pronunciato. Di sicuro il rapporto non piace ai più conservatori. Durante la presentazione un contestatore lanciò a Zoellick dei fogli urlando: «Queste riforme sono veleno per la Cina. Wall Street è un covo di bugiardi e ladri».
COME RIDURRE IL POTERE DELLE BANCHE DI STATO?
«Le banche ottengono profitti troppo facilmente perché un piccolo gruppo d’istituti di credito occupa una posizione di monopolio. In Cina si possono ottenere capitali e prestiti solo attraverso queste banche». Lo ha detto il premier uscente Wen Jiabao, che nell’ultimo anno si è scagliato spesso contro i meccanismi che ingolfano il sistema. Wen «il picconatore» o Wen «il miglior attore cinese», come denuncia in una biografia non autorizzata il dissidente Yu Jie? Le grandi banche statali: Bank of China, Industrial and commercial bank of China, China construction bank e Agricultural bank of China sono uno dei pilastri su cui si è retto il modello cinese, ma secondo un’indagine di Thomson Reuters chiuderanno il 2012 con i profitti più bassi mai registrati. Le «quattro grandi» sono il simbolo di un sistema che concede prestiti quasi solo ai conglomerati statali, mentre i privati sono in balia del credito informale con tassi d’interesse da usura. Il governatore della banca centrale, con alcuni economisti, tenta di introdurre riforme per ampliare le possibilità d’investimento dei cinesi, costretti a mettere i risparmi nel mattone; e limitare il connubio tra banche statali e amministrazioni locali, che fra il 2009 e il 2010 ha generato debiti per 10,7 miliardi di yuan (1,28 miliardi di euro). Soldi finiti in immobili e infrastrutture che hanno infiammato i prezzi delle case e dato vita a una massa sconosciuta di crediti ormai inesigibili.
AMPLIARE LA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE?
Su molte questioni la divisione tra conservatori e riformisti appare riduttiva. L’hukou ne è un esempio. Sorta di registro delle residenze, è un potente strumento di controllo sociale di epoca maoista, che di fatto suddivide i cinesi in cittadini di serie A, residenti nelle zone urbane, e cittadini di serie B, residenti nelle aree rurali. Per quest’ultimi, spesso costretti a spostarsi nelle zone industrializzate della costa, l’immigrazione interna significa la perdita dell’hukou della provincia d’origine e quindi la fine di diritti come l’istruzione per i figli e un minimo di assistenza sanitaria. Le pressioni sulla riforma dell’hukou si moltiplicano, ma provocano anche un rimescolamento fra gli schieramenti: mentre molti tra i promotori delle libertà economiche sembrano contrari alla riforma delle residenze, alcuni conservatori in economia si schierano a favore di un cambiamento capace di migliorare le condizioni delle fasce meno protette. Un rimescolamento che si ripropone anche su altri temi. Alcuni fautori dello sviluppo a ogni costo sentono come un ostacolo le proposte relative all’ambiente. La Cina è il primo paese per emissioni di gas serra, anche se ha lanciato enormi investimenti nelle energie rinnovabili, grazie all’appoggio dei paladini dell’economia dirigista. Non a caso: un rapporto diffuso dalla società di consulenza Clean Biz Asia dimostra che la spinta verso l’energia verde è servita soprattutto alle grandi imprese statali per ottenere nuove commesse.