John Gapper, Panorama 8/11/2012, 8 novembre 2012
PER NEW YORK È SOLO LA PRIMA ALLUVIONE. E ALTRE METROPOLI FINIRANNO SOTT’ACQUA
La fotografia che a mio parere ha documentato in modo più toccante la distruzione lasciata dietro di sé dall’uragano Sandy è quella che ritrae il supermercato Fairway di Red Hook, a Brooklyn. Mi ci recavo nei fine settimana per fare la spesa e dal caffè sul retro, accanto a due tram dismessi, mi godevo la vista del porto di New York e della Statua della libertà.
Red Hook è il simbolo della rinascita della città e insieme della nuova sfida che deve affrontare. I dock del film Fronte del porto, abbandonati negli anni Sessanta, quando i container cambiarono rotta verso il New Jersey, hanno vissuto anni di declino, proprio come la città nel suo complesso. Oggi Van Brunt street è un susseguirsi di negozi e ristoranti (e di magazzini allagati che ospitano Fairway e costosi appartamenti).
Guardando la risposta vigorosa di New York (il sindaco Michael Bloomberg affiancato dall’interprete della lingua dei segni, l’evacuazione dei neonati dall’ospedale della New York University, i residenti del Lower East Side che hanno sfidato il blackout, l’impegno di prosciugare le metropolitane allagate), è facile sottovalutare le dimensioni della calamità in un termine temporale più lungo. Non accade tutti i giorni che un uragano travolga New York, è qualcosa che non dovrebbe accadere. Invece Sandy è arrivato, soltanto un anno dopo che l’uragano Irene aveva sferzato la città. E alcuni segnali indicano che accadrà ancora (e ancora).
Il cuore finanziario e commerciale dell’economia più grande del mondo verrà ancora sconquassato e sommerso, con le borse che rimarranno chiuse e i cittadini che dovranno cercare riparo nei loro appartamenti senza energia elettrica. La prossima volta le cose potrebbero andare peggio.
L’aspetto ironico è che una volta New York era una metropoli indesiderabile a causa della gente che ci viveva (le gang e i malviventi rimasti dopo l’esodo della classe media verso i sobborghi residenziali). Ora ha subito una pulizia talmente radicale che i sobborghi stanno perdendo attrattiva, man mano che i ricchi si stabiliscono a Soho, Tribeca e Brooklyn. New York è una delle città americane più civili e meno pericolose, però c’è il cambiamento climatico.
Non è l’unico esempio, anche se estremo. In tutto il mondo, da Londra a Shanghai, a Hong Kong, la popolazione affluisce nelle città costiere che creano posti di lavoro e rappresentano centri di innovazione, dinamismo economico e cultura. Questa marea umana si trova di fronte a una marea reale, causata dall’innalzamento del livello e della temperatura degli oceani.
Negli anni Sessanta, quand’ero bambino, ricordo che rimasi fermo sul sentiero del nostro giardino a Kew (Londra, ndt) a guardare le acque sospinte da un’onda di marea del Tamigi inondare la nostra strada fino ad arrivare a pochi centimetri da noi. Le autorità rinforzarono l’argine del fiume e successivamente costruirono la barriera del Tamigi a Woolwich, per impedire nuove alluvioni. È questo che ci si attende: infrastrutture e tecnologia che mettano i cittadini al riparo dagli elementi naturali. L’affermarsi del modello di città moderna, in cui la gente vive, lavora e socializza a gomito a gomito, a Londra è stato reso possibile dalla costruzione del sistema fognario vittoriano, a opera di Joseph Bazalgette, che debellò il colera.
Le infrastrutture di New York sono ancora più monumentali: il Ponte di Brooklyn, costruito nel 1883, e l’allagato tunnel Brooklyn-Battery, scavato nel 1950. Il tunnel venne intitolato, almeno sulla carta, a Hugh Carey, il governatore di New York che avviò il processo di riordino del caos finanziario e sociale negli anni Settanta. Ma nessuna di queste strutture è a prova di uragano.
Il tallone di Achille di queste grandi città portuali consiste nell’essere state create dall’acqua. E la vulnerabilità di New York è quasi senza pari. Manhattan è un’isola; Brooklyn e il Queens sono situati sull’estremità di Long Island e Staten Island parla da sola. New Orleans ha potuto alzare i suoi argini e Londra ha potuto erigere dighe sul Tamigi. New York è circondata.
La città sta diventando sempre più esposta alle maree. Dei 10 livelli di piena più alti registrati a Battery Park, nella punta meridionale di Manhattan, a partire dal 1900, tre si sono verificati negli ultimi due anni con Irene, Sandy e l’inondazione della primavera del 2010. Le mareggiate attorno all’estremità di Lower Manhattan sono ormai divenute eventi consueti.
In passato di solito gli uragani perdevano intensità prima di raggiungere la costa nordoccidentale degli Stati Uniti, con rare eccezioni, come l’uragano denominato Long Island Express del 1938. Le tempeste tropicali provenienti dal Golfo del Messico o, come nel caso di Sandy, dal Venezuela tendevano a diminuire in potenza e a esaurirsi gradualmente quando colpivano il freddo oceano settentrionale. Tutto ciò sta cambiando. Quest’anno la temperatura di alcune aree dell’Oceano Atlantico è stata più calda di vari gradi rispetto alla norma e questo ha contribuito a sospingere Sandy fino sulla costa, dove si è unito a un’altra tempesta nordorientale, è rimbalzato su un fronte atmosferico incoraggiato dallo scioglimento del ghiaccio artico e si è abbattuto su Atlantic City e sulla costa del New Jersey.
«Per noi Sandy è stato un chiaro esempio di sfortuna, tuttavia il cambiamento climatico ha contribuito all’uragano in mille modi e sta continuando a giocare a nostro sfavore» afferma Ben Strauss, responsabile del programma Sea level rise presso il gruppo di ricerca Climat central, che ha sede a New York.
L’inondazione di Atlantic City è un evento triste ma, in termini economici, New York è più importante. Per molti aspetti è la città esemplare: estremamente compatta, facile da percorrere (grazie alla fitta rete dei trasporti pubblici) e ricca di tecnologia e servizi. È un concentrato di energia, che attira cittadini americani provenienti da aree meno vitali degli Stati Uniti e immigrati dall’estero. Sono le città di questo tipo a dominare le economie nazionali. Il McKinsey global institute stima che il 60 per cento della crescita del pil mondiale tra il 2010 e il 2025 proverrà da 600 città. Riemersa dai passati giorni di declino, New York è in buona posizione per guidare questa tendenza, se non fosse per la sua debolezza geografica.
New York non ha una soluzione ovvia. Spostare edifici e cittadini lontano dalle zone basse sarebbe impossibile (provate a immaginare la reazione degli abitanti) ed edificare barriere sui fiumi rappresenterebbe una soluzione costosa e insufficiente.
Le città rivali possono scorgere un’opportunità nelle difficoltà che sta attraversando la metropoli; alcuni suggeriranno agli imprenditori e alle borse che sarebbe meglio trasferirsi in altri luoghi più sicuri e all’asciutto. Tuttavia New York non è l’unica grande metropoli che si è sviluppata a ridosso della costa o di un porto esposto alle maree. Stiamo assistendo al futuro prossimo venturo.
(John Gapper)
The Financial Times Limited 2012