Stefano Cingolani, Panorama 8/11/2012, 8 novembre 2012
MINISTRO, QUANTE BRUTTE FIGURE!
[Vittorio Grilli]
16 giugno 2012
Il Consiglio dei ministri che doveva varare in un batter d’occhio la fase due della manovra schiaccia Vittorio Grilli in un angolo. Corrado Passera, ministro dello Sviluppo, chiede fondi per le infrastrutture; il sottosegretario Antonio Catricalà critica i project bond; Mario Monti fa da arbitro, e non sarà l’ultima volta.
15 luglio
Grilli annuncia il suo piano poliennale per vendere il patrimonio pubblico: caserme, palazzi, magazzini, 1.800 aziende locali. Un pacchetto da 15-20 miliardi l’anno che deve essere lanciato con la nuova finanziaria. Invece, sparisce nei meandri. Fatti bene i conti, il ministro dice che per ora è realistico ricavarne solo 1 miliardo e mezzo, forse 2.
4 settembre
Vengono pubblicati i verbali dell’interrogatorio di Ettore Gotti Tedeschi. Il banchiere sostiene che Giuseppe Orsi, presidente della Finmeccanica, gli ha parlato di consulenze false a Lisa Lowenstein, ex moglie di Grilli. Il ministro tace. Il 2 ottobre sul Sole 24 Ore l’economista Luigi Zingales chiede chiarezza e il giorno dopo al giornale giunge una lettera di smentita con annesse imbarazzate spiegazioni.
16 ottobre
Arriva la legge di stabilità. «Il governo ha iniziato il percorso di riduzione delle tasse e del cuneo fiscale» proclama Grilli dall’Aquila due settimane dopo. L’idea è abbassare di un punto le due aliquote Irpef più basse e aumentare l’Iva dal 10 all’11 per cento. L’effetto per le entrate è neutro, ma secondo alcuni calcoli a rimetterci sarebbero proprio i cittadini con reddito dichiarato più basso.
31 ottobre
Scatta il contrordine. Sotto una valanga di attacchi da destra (Renato Brunetta del Pdl) e da sinistra (Pier Paolo Baretta del Pd), Grilli cede. Anche l’Istat critica l’operazione e la Banca d’Italia spiega in Parlamento che a primavera ci sarà bisogno di una manovra aggiuntiva. Così il cerino passa al prossimo governo.
La resa di Vittorio Grilli sulle tasse è maturata in mesi di schermaglie e scivoloni. Con quell’aria da ufficiale uscito dal circolo del whist si era dimostrato un tecnico tutto d’un pezzo finché aveva diretto il Tesoro. Sulla poltrona di ministro, invece, ha dovuto piegarsi. La prima legge di stabilità con la sua firma è stata rovesciata come un guanto. Le critiche del Parlamento e i dissensi interni al governo gli hanno imposto l’umiliante marcia indietro. Chi tiene in mano la borsa è la vittima designata. Accadde già a Quintino Sella. Lui, però, aveva ripristinato l’imposta sul macinato.
(Stefano Cingolani)