Emanuela Fiorentino; Oscar Giannino, Panorama 8/11/2012, 8 novembre 2012
CHI LAVORA PER LA LISTA MONTI
[due pezzi: Emanuela Fiorentino; Oscar Giannino]
Se nell’acquario della politica i vecchi partiti annaspano a causa della poca acqua rimasta, se l’avanzata di Beppe Grillo rischia di superare le previsioni (l’ultimo sondaggio Ipsos lo dà quasi al 21 per cento), se il forte rumore che si sente dal centro non fa intravedere, per ora, nulla di concreto, la strada potrebbe davvero essere obbligata: una lista Monti.
Il Corriere della sera, domenica 4 novembre, ha dedicato ampio spazio a questa ipotesi che, come risulta anche a Panorama, ha più di un fondamento. Manca da sciogliere il nodo essenziale, cioè la candidatura del premier, che sul punto non si sarebbe neppure espresso. Ma la notizia, a quanto raccontano persone a lui vicine sia all’interno del governo sia fuori, è che Mario Monti abbia cominciato a prendere in considerazione l’idea, cosa che fino a un mese fa sembrava impossibile persino immaginare.
Certo, lui preferirebbe che fossero gli altri a indicarlo, senza dovere necessariamente scendere in campo. Ma se servisse un suo imprimatur diretto, potrebbe a questo punto non farlo mancare.
I motivi? Forse il timore, da parte di Monti, che la fine della sua cosiddetta parentesi governativa rischi di riaprire un brusco ritorno al passato, dove la politica, lasciata sola, faticherebbe a gestire l’emergenza. Poi altre due considerazioni, quasi scontate. La prima: Pier Luigi Bersani, con Nichi Vendola, potrebbe generare una coalizione vincente, ma non in grado di garantire la stabilità di governo. La seconda: il passo indietro di Silvio Berlusconi e lo sfaldamento, come si diceva, di un’area moderata dove sembra ormai prevalere il «vorrei ma non posso» inaugurato da Luca Cordero di Montezemolo. Un vasto nucleo in movimento che vede alternarsi protagonisti diversi, dal presidente della Ferrari, appunto, al ministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera (sul cui carisma politico, dopo un anno di governo, si scommette con meno convinzione rispetto al passato), alla ex presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, che dopo l’esperienza confindustriale è molto tentata da quella politica, ma non si è ancora espressa sul suo futuro.
In una fase così delicata e ancora piena di incognite molti indicano i pontieri di una lista capeggiata dall’attuale presidente del Consiglio nel ministro tecnico Andrea Riccardi e nel segretario della Cisl Raffaele Bonanni. Il pressing, se di pressing si può parlare quando l’interlocutore si chiama Mario Monti, avrebbe preso vigore negli ultimi giorni. E le indiscrezioni, ricostruendo i contatti e le affinità che un tale progetto potrebbe mettere insieme, fanno pensare che un pieno sostegno alla lista Monti potrebbe arrivare da Pier Ferdinando Casini, dagli stessi Montezemolo e Marcegaglia, dal ministro Passera e, naturalmente, dai pontieri Bonanni e Riccardi. Senza contare l’entusiasmo che scenderebbe sicuramente dall’Europa, Angela Merkel in testa, seguita a ruota da Wilfried Martens, presidente del Ppe.
Insomma, Monti premier eletto dai cittadini e non riserva pronta a entrare in campo per un Monti bis che in troppi danno per scontato. Dopo il risultato del voto siciliano e in attesa dell’esito delle primarie di Pd e Pdl, superata infine l’incognita su quale sarà la legge elettorale con cui confrontarsi, il nodo potrebbe essere sciolto. Magari col conforto di futuri sondaggi, considerato che la fiducia dei cittadini nei confronti del professore, in un anno, quasi mai è scesa sotto il 40 per cento.
E non è detto che la «strada obbligata » non possa piacere anche ad Angelino Alfano, se a quel punto fosse davvero orfano di Silvio Berlusconi. Perché, nonostante l’erosione di consensi, il Pdl continua a rappresentare un considerevole bacino di voti.
Un fatto è certo, e chi lo sta accompagnando in questa avventura lo conferma: a Monti fare il premier piace forse più di quanto egli stesso aveva preventivato. E andare al Quirinale, con Bersani al governo con Sel, non gli consentirebbe un ruolo neppure paragonabile a quello finora svolto da Giorgio Napolitano.
(Emanuela Fiorentino)
SCALFARI, TI SBAGLI–
[pezzo di Oscar Giannino]
Ogni tanto, dopo tanti decenni, Eugenio Scalfari riesce ancora a stupirmi. C’è riuscito domenica scorsa, nel sermone in cui ha dipinto come pericolosi «disturbati» i Paolo Flores d’Arcais, i Marco Travaglio, coloro che votano Matteo Renzi sperando che il Pd si spacchi, i giustizialisti che invocano Beppe Grillo che disdegna i media ma prende un mare di voti. Conclusione scalfariana: i veri liberali pensano altro, chissà che il Paese capisca che bisogna votare Pier Luigi Bersani e il Pd senza commettere l’errore nuovista. Sorriso diffidente da parte mia, e di chi da sempre diffida degli autodichiaratisi pontefici liberali. Primo, coloro che Scalfari bolla come disturbati e pericolosi per tanti anni sono andati bene e benissimo al suo palato. Servivano ad abbattere il berlusconismo, eccome se risultavano utili e lodevoli. Ora che caduto Silvio Berlusconi giustamente rinunciano di mettersi a cuccia e obbedire in silenzio ai vecchi papi rossi, ma riservano a tutti lo stesso metodo abrasivo senza fare sconti, diventano improvvisamente temibili populisti? Secondo: ma il vero liberale non è a favore del merito dei problemi e del metodo per affrontarli, a prescindere da coloro ai quali si applicano? Qui si direbbe proprio di no. Mi ha illuminato la risposta di Carlo De Benedetti a Fabio Fazio, sul perché sostenga Bersani alle primarie, dopo avere pensato che non era un leader. «Mi dà l’idea di essere il più affidabile, stabile». Usato sicuro e niente scherzi, compagni. Antonio Ingroia va bene se spara sul Berlusca, ma se vuole fare politica fuori dal Pd no. Che radioso futuro, per questi liberali rossi nostalgici sempre degli italiani sull’attenti davanti a Enrico Berlinguer. Terzo: possono dire quel che vogliono, alla «Repubblica». I liberali senza papi, quelli come me, vedono più che mai che lo Stato prende e spoglia, ed è quello il problema da risolvere. Se Grillo serve a spezzare e spazzare un bel po’ di statalismo rosso che usurpa cattedre einaudiane, meglio.
Oscar Giannino