Giorgio Mulè, Panorama 8/11/2012, 8 novembre 2012
CADUTO IL MURO, RIINA DISSE: ORA CHE FACCIAMO?
Accettate un consiglio spassionato: leggete la memoria messa a punto dalla Procura di Palermo sulla vicenda della trattativa Stato-mafia (la trovate, integrale, sul sito di Panorama, www.panorama.it). Tenete sempre bene a mente che si tratta di un documento giudiziario, quindi teoricamente fondato su prove e che nulla dovrebbe concedere all’analisi come strumento deduttivo per dimostrare i fatti. Un’altra avvertenza: mentre lo leggete provate a immaginare i capi della mafia veri, quelli alla sbarra per la trattativa Stato-mafia. E cioè Totò ’u Curtu, al secolo Salvatore Riina, e Binnu ’u Tratturi, al secolo Bernardo Provenzano, altrimenti detti spregiativamente i «viddani» (cioè contadini, senza alcuna offesa per la categoria ovviamente) per la rozzezza e la totale mancanza di cultura, tanto da fare sembrare al loro confronto un analfabeta meritorio del Nobel per la letteratura. Cioè, per meglio capirci: personaggi come il mai dimenticato Gaetano «Tano» Cariddi della Piovra o Rosalia «Rosy» Abbate dell’attuale Squadra antimafia sono culturalmente dei giganti inarrivabili se confrontati con i corleonesi. E infatti, non a caso, appartengono al mondo della finzione.
Tutto ciò premesso, a me è parso di leggere delle cronache dell’aldilà scorrendo il documento della procura, una congerie di accadimenti affastellati e messi in connessione al riparo da qualsiasi smentita perché non c’è nessuno che può smentirli. Provateci voi a smentirli, dal momento che si parte da questo assunto: nel 1987 Cosa nostra punisce la Dc e vota per i socialisti. Bene, ricordatevi sempre che i personaggi principali di questa storia sono ’u Curtu e ’u Tratturi. Perdonate la lunghezza della citazione, ma serve per capire. Scrive la procura: «Il crollo del Muro di Berlino e il disfacimento dell’impero sovietico ridisegnarono gli equilibri politici internazionali sull’intero scacchiere mondiale. La fine della contrapposizione bipolare Est-Ovest, fondata sull’equilibrio nucleare e su una guerra fredda combattuta su più fronti, fu la “grande madre” di una catena di eventi. La grande criminalità aveva approfittato della copertura politica della guerra fredda per intessere, all’interno del sistema politico-istituzionale, una serie di rapporti che hanno fatto dell’Italia uno degli snodi degli interessi macroeconomici del crimine mondiale. Ebbene, fu proprio il crollo del Muro di Berlino a determinare la fine della giustificazione storica della “collaborazione” con la grande criminalità». Conclusione: «È in questo contesto generale che va inserita la strategia di alleanze che Cosa nostra organizzò in quella nebulosa e complessa fase storica di transizione e concepì il piano destabilizzante del quadro politico tradizionale iniziato con l’omicidio Lima (marzo 1992, ndr), poi sfociato nella logica della trattativa per costruire un nuovo patto politico-mafioso di convivenza tra Stato e mafia».
Volete sapere su cosa si fondano queste perle di giustizia? Bene: per la Procura di Palermo «un ruolo prodromico di nuove certezze» (sic!) è quello di Massimo Ciancimino, ovvero il principe dei pataccari arrestato e sotto processo per calunnia e già bollato di inattendibilità da svariati giudici. È grazie a lui che è stato possibile ricostruire «genesi, dinamiche ed esito dei contatti intercorsi fra i capi di Cosa nostra e i rappresentanti delle istituzioni». Niente da fare: per la procura l’icona dell’antimafia rimane ancora il figlio di «don Vito», mentre viene irrimediabilmente sporcata un’altra icona, Oscar Luigi Scalfaro. L’ex presidente della Repubblica osannato in vita da Travaglio & C. oggi è degradato all’infimo rango di «consapevole mediatore» tra Stato e mafia. Fosse in vita avrebbero dovuto processarlo per attentato alla Costituzione. E questa non è fiction.