Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 08/11/2012, 8 novembre 2012
COME MORÌ BEN BARKA EROE DELL’ANTICOLONIALISMO - A 47
anni dalla morte di Mehdi Ben Barka, poco si sa (o si vuole sapere) sui suoi assassini. Si potrà mai fare piena luce sulla vicenda o tutto rimarrà celato in un fumoso porto delle nebbie? L’attivista era più temuto dai francesi o dai marocchini?
Andrea Sillioni
a.sillioni@yahoo.it
Caro Sillioni, quando scomparve a Parigi, nell’ottobre 1965, Mehdi Ben Barka era il capo di un partito marocchino (l’Unione nazionale delle forze popolari) e segretario di una Internazionale terzomondista e anticolonialista che si era costituita sotto l’egida dell’Ospaaal (Organizzazione di solidarietà con i popoli dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina) e avrebbe tenuto all’Avana, di lì a poco, il suo primo Congresso. Nelle intenzioni dei suoi fondatori, la Tricontinentale sarebbe stata per i movimenti anticolonialisti ciò che la Terza Internazionale era stata per i partiti comunisti dopo la rivoluzione bolscevica del 1917. Non è sorprendente quindi che Ben Barka fosse nel registro delle persone da sorvegliare di quasi i tutti maggiori servizi segreti occidentali, dalla Cia al Mossad, e avesse molti nemici fra cui il maggiore, probabilmente, era il generale Oufkir, capo dell’Intelligence marocchina, personaggio tenebroso, crudele, smisuratamente ambizioso.
Nel 1965 Ben Barka era esule in Egitto, dove godeva di un certa protezione. Per catturarlo o eliminarlo occorreva attrarlo in Europa, possibilmente a Parigi dove Oufkir poteva contare su una rete di amici e collaboratori: qualche agente dei servizi francesi, veterani della guerra d’Algeria e dell’Oas (l’Organisation de l’Armée secrète, sorta per impedire l’indipendenza della colonia), personaggi di quel mondo composto da malandrini, affaristi e informatori che sono gli indispensabili compagni di viaggio di qualsiasi Intelligence. La trappola scattò nell’ottobre del 1965 e lo scandalo scoppiò qualche giorno dopo quando i giornali cominciarono a segnalare la scomparsa di Ben Barka e ad avanzare ipotesi sul coinvolgimento dei servizi francesi nell’operazione. Persino De Gaulle, a un certo punto, dovette intervenire nella vicenda con una conferenza stampa nel corso della quale negò qualsiasi coinvolgimento della polizia francese e del controspionaggio «in quanto tali e nel loro insieme». La smentita lasciava intravedere la possibilità di una collaborazione che il generale, tuttavia, definì «volgare e subalterna». Nelle parole di De Gaulle vi era anche un esplicito riferimento al generale Oufkir e l’operazione veniva definita un «regolamento di conti»: espressione infelice perché sembrava indicare che tra gli assassini e la vittima esistesse un conto in sospeso.
Ho ritrovato la conferenza stampa di De Gaulle, caro Sillioni, in un film francese del 2005 («J’ai vu tuer Ben Barka», ho visto uccidere Ben Barka), diretto da Serge Le Péron. L’«eroe» del film è un simpatico furfante, Georges Figon, ex galeotto, amico di spie e uomini di mano (ma anche di intellettuali come Marguerite Duras), amante di una simpatica attrice, sempre a caccia di idee per fare denaro. Attratto nella rete di Oufkir, accetta di produrre un film sul colonialismo, destinato all’inaugurazione del primo Congresso della Tricontinentale, in cui Ben Barka avrebbe avuto il ruolo del consulente storico. È la trappola con cui il dissidente marocchino viene attirato a Parigi. Figon, quindi, collabora alla cattura di Ben Barka. Ma quando Oufkir rifiuta di pagare il prezzo del complotto, il falso produttore vende a qualche giornale la sua versione dei fatti. È venale, ma anche spavaldo e temerario. Morirà «suicida» con una pallottola nella nuca e con lui moriranno, prima o dopo, quasi tutti gli altri protagonisti del complotto, fra cui lo stesso generale Oufkir. Nel film i fatti sono conditi con molta fantasia, ma il risultato non è mediocre.
Sergio Romano