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 2012  novembre 08 Giovedì calendario

DIVORCE PARTY ALL’ITALIANA


IL DRESS CODE della festa era «I will survive». Quando Irene mi ha aperto la porta non ho creduto ai miei occhi. Se prima di suonare il campanello avevo storto il naso calpestando lo zerbino con su scritto «Giovanni: l’uomo sbagliato», quando me la sono ritrovata davanti vestita di tutto punto con tanto di fascia nera di «Just divorced» sono rimasta a bocca aperta. «E non hai ancora visto il meglio» mi ha annunciato raggiante sulle note di I will survive. Eccolo spiegato, il dress code. «Se te l’avessi detto prima non saresti venuta» sussurra. Senza dubbio, nel soggiorno addobbato con palloncini neri dove gli ospiti (tra cui Giovanni, l’uomo sbagliato, e Marta, la sua nuova compagna) in fila dalla cartomante si scambiavano consigli sulle tariffe degli avvocati divorzisti, ho capito che, anche in Italia, non esistono più le mezze stagioni. Trentotto anni dopo il referendum, la festa della fine sta contagiando anche il Bel Paese. «Ho vissuto cinque anni a New York e ho partecipato ad alcuni divorce party» spiegava Irene agli invitati. «È ora di cambiare prospettiva: siete venuti al nostro matrimonio dieci anni fa, avete condiviso l’inizio. E allora perché non condividere anche la fine?». Giovanni, l’ex: «Vogliamo dimostrare che la fine di un matrimonio può essere (’inizio di un nuovo rapporto». Tanto di cappello. Insomma, a dispetto del Parlamento che ha trasformato il disegno di legge sul divorzio breve – pronto dallo scorso giugno – in una legge fantasma, gli italiani si sposano sempre di meno e divorziano sempre di più (il 6,9 per cento in più rispetto al 2007). Oltreoceano c’è Christine Gallagher, l’autrice di The woman’s book of divorce (2001 ) e di The divorce party planner: how to throw a divorce or breakup party (2006), nonché la divorce party planner più famosa di Los Angeles, che lo ripete dal 2003: «Abbiamo bisogno di cerimonie per marcare i grandi eventi. La festa di divorzio è un modo per ripresentarsi alla società, per fare i conti con la nuova identità». Nicole Tomas, 41enne londinese fresca di divorce party, spiega bene il concetto: «Il mio party è stato all’insegna della saudade, la parola portoghese che indica il desiderio di qualcosa che ancora non esiste». Chi la sa lunga è Charlotte Eulette, presidente della Celebrant Usa foundation, l’organizzazione che imbastisce liturgie laiche per esorcizzare i passaggi della vita: «Alcuni divorce party, soprattutto se ci sono figli o se la separazione è amichevole, sono orchestrati da entrambi gli ex coniugi e tra gli invitati ci sono i relativi parenti». Come la festa di Irene e Giovanni, dove l’ex suocera chiacchierava amabilmente con Marta, nuova compagna di lui.
Le testimonianze sul sito della Gallagher ( divorcepartyplanner.com) raccontano party "catartici". «Per gli uomini è più facile andare avanti», sostiene la Gallagher. I dati confermano: l’80 per cento delle clienti è donna. Certo l’affare è ghiotto: a Las Vegas l’agenzia Vegas vip descrive un’impennata del 70 per cento, nel resto degli Usa la tendenza spopola. «Ogni dieci richieste, sette sono per feste di divorzio» racconta al New York Times Janet LaFauci Morante, titolare del sito (divorcepartysupply.com), appendice di (www.bachelorettediva.com), che si occupa di addii al nubilato.
In Rete i siti specializzati fanno affaroni con gli accessori per le feste: bambole di pezza da trafiggere (The love voodoo kit), magliette con su scritto «It’s fun to be one» o «Io riciclo uomini» (con tanto di marchio dell’azienda municipale di New York per lo smaltimento rifiuti). E poi piatti ad hoc («No man? Amen»), tovagliolini e carta igienica personalizzata, decori per la torta con sposi che si accoltellano, buoni per una notte con la neosingle. Nei party americani capita che la just divorced bruci il vestito di nozze, che lanci i coriandoli del certificato di matrimonio, che organizzi tornei di freccette con la faccia dell’ex sul bersaglio. Toy boys, spogliarellisti e burlesque sono accessori che le donne pretendono. Anche in Italia. Alessandro ha 29 anni, vive a Roma, di giorno è personal trainer, di notte spogliarellista. Fino a un paio di anni fa lo chiamavano per gli addii ai nubilati, le lauree e compleanni. «Negli ultimi tempi vanno i divorce party nelle belle ville organizzati da donne manager ed eleganti», racconta. Oltre al tradizionale striptease gli è capitato di ricevere «richieste spinte e spudorate con una naturalezza che mi ha sbalordito». Saverio Pavia, uno dei titolari di Party media, è tutt’altro che stupito: «La maggior parte dei clienti sono donne tra i 38 e i 45 anni che vivono il divorzio come una liberazione, vogliono riscattarsi e divertirsi. Che male c’è? Gli uomini lo fanno da sempre». Chi vuole fare un passo oltre è Andrea Rispoli Venier, amministratore di In-solito. «Più che divorce party, li considero addii al coniugato», spiega. Oltre al pacchetto classico (500 euro tutto incluso), raddoppiando la cifra propone «incontri con una sessuologa e una sensor guru per aiutare la neosingle a riconquistare la piena femminilità». Non solo: «A Natale lanceremo una provocazione: la festa dev’essere omaggiata del coniuge che ha chiesto il divorzio e la condizione va pattuita dal giudice».
Nel frattempo alcuni professionisti si sono convertiti. Tra questi c’è la Tangari Made in Italy, l’azienda pugliese che da tre generazioni sforna bomboniere bianche e da quest’anno anche nere, e il fotografo Gianni Fasolini che, dal 2007, ha aggiunto alle sue prestazioni gli album per gli ex. L’ispirazione gliel’ha data la fiera del divorzio di Vienna. Il primo anno ha pareggiato i conti. E c’è Luca Melilli, wedding planner titolare di Panta Rehi, l’agenzia di Catania che ai ricevimenti nuziali ha affiancato le feste della fine. «Alcuni li sposo, altri li divorzio ma accetto solo se i rapporti tra i due sono buoni», dice. «Ho cominciato per caso: nel 2009 una coppia mi ha chiesto di organizzare una festa a sorpresa nella loro villa a Taormina in cui avrebbero annunciato agli amici il loro divorzio», dice. «Era il giorno del loro anniversario di matrimonio». Quella volta finì con una tombolata per aggiudicarsi i regali. Nemmeno in Italia ci sono più le mezze stagioni.