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 2012  novembre 08 Giovedì calendario

DA GIOVANI E MINORANZE LA SPINTA DECISIVA

Una vittoria netta, quella di Barack Obama, quando si guarda ai numeri dei grandi elettori, dei singoli stati conquistati che determinano la presidenza. Almeno 303, ben oltre il minimo di 270, senza neppur bisogno di contare la Florida dove gli spogli sono ancora in corso. Meno schiacciante, però, l’affermazione appare quando si tratta dei voti nelle urne. Obama si è imposto di stretta misura in molti stati chiave e i consensi popolari sono stati inferiori rispetto alla sua prima storica elezione, nel 2008: il 50% degli elettori anzichè il 53% di quattro anni or sono. Il distacco inflitto al rivale Mitt Romney è stato in tutto due milioni e mezzo di voti su quasi 120 milioni. Le grandi “constituency” della sua coalizione, donne, giovani e minoranze etniche, l’hanno sostenuto oggi come ieri. Il voto etnico, in particolare, è salito al 28% dal 26% del totale e ha premiato Obama all’80 per cento. Ma il presidente ha anche perso malamente altrove: tra gli indipendenti e nell’elettorato bianco, dove è stato battuto dal candidato repubblicano di 19 punti percentuali, ben più dei 12 punti di quattro anni or sono.
Il Paese, all’indomani del voto, emerge ancora diviso e a rischio di paralisi affidando a Obama la missione di costruire consenso e unità per governare. Dallo speaker repubblicano della Camera, John Boehner, ieri è arrivato un primo messaggio conciliante: per raggiungere un’intesa sul debito è disposto a trattare su «nuove entrate», finora anatema, accanto a risparmi su grandi programmi sociali pensionistici e sanitari. Ma la strada sarà ardua, anche perché la polarizzazione è manifesta in Congresso: la Camera è rimasta sotto il controllo dei repubblicani, il Senato dei democratici, con guadagni del partito del presidente che non hanno ribaltato le maggioranze.
Se la mano di Obama esce dunque chiaramente rafforzata per le iniziative che dovrebbe prendere – dalla politica industriale alle riforme fiscali, dall’immigrazione alle regole finanziarie fino alle nomine per la Corte Suprema – il dilemma per lui sarà come giocarla. Obama non avrà molto tempo per far decollare un’agenda efficace: i 14 mesi iniziali di un secondo mandato sono quelli che lo segnano, poi il presidente potrebbe diventare una "lame duck", un "segnaposto", in attesa di uscire di scena.
Forza e fragilità del mandato di Obama sono emerse, come da una vasta cartina di tornasole, nei sondaggi e nelle scelte di voto delle tante anime elettorali americane. Obama ha dominato tra la crescente “minoranza” ispanica, strappando il 69% dei consensi, l’8% in più del 2008, e in quella asiatica, con il 73 per cento. Ha conservato, con il 93% dei voti, l’entusiasmo della comunità afroamericana. Il maggioritario elettorato femminile ha a sua volta preferito Obama con il 55% dei consensi, staccando Romney di 12 punti contro i 13 del 2008. Tra i giovani il presidente ha perso slancio ma non troppo, con il 60% contro 66 per cento. La debacle nell’elettorato bianco è stata altrettanto innegabile: ha preso il 39% dei voti contro il 43% del 2008. E in una ventina di stati ha marciato verso i repubblicani, da un minimo di poco più del 40% in Massachusetts a un massimo di quasi il 70% in North Carolina, l’unico grande stato conteso perso da Obama. Nell’elettorato indipendente Obama sè statao battuto di cinque punti, 45% a 50%, dopo aver vinto di sette nel 2008.
Questo, tuttavia, non ha potuto risollevare le sorti di Romney, in un paese dal profilo demografico e sociale sempre più diversificato. I repubblicani, anzi, dovranno fare i conti con una profonda crisi interna: la mobilitazione delle componenti evangeliche e ultra-conservatrici, segreto dei successi di Karl Rove e George W. Bush, non è più sufficiente. La percentuale del voto bianco è scesa al 72% dal 74% del totale. E nei singoli stati e sulle tematiche socio-economiche calde sono emersi espliciti segnali di un paese che promette di mettere alla prova le politiche repubblicane più liberiste e radicali. In almeno due stati, Maine e Maryland, gli elettori per la prima volta hanno approvato nelle urne il matrimonio gay. La California, patria negli anni Settanta di rivolte contro le tasse, ha legittimato aumenti della pressione fiscale pur di non tagliare la spesa per l’istruzione pubblica.