Francesco Sisci Il Sole 24 Ore 8/11/2012 (Dagospia), 8 novembre 2012
È una girandola di voci senza precedenti. Il 18° Congresso del partito che dovrà decidere la dirigenza cinese per i prossimi dieci anni e che si apre a poche ore dall’elezione del presidente americano, avrà poco di previsto, nonostante la puntigliosa e laboriosa preparazione durata anni
È una girandola di voci senza precedenti. Il 18° Congresso del partito che dovrà decidere la dirigenza cinese per i prossimi dieci anni e che si apre a poche ore dall’elezione del presidente americano, avrà poco di previsto, nonostante la puntigliosa e laboriosa preparazione durata anni. Le decine di versioni in giro a Pechino sulla composizione del prossimo comitato permanente del Politburo del partito, il vertice assoluto dell’immensa piramide politica cinese, le ondate di scandali che hanno travolto o colpito dirigenti e leader del Paese dimostrano quanto questa transizione sia combattuta e quanto gli esiti alla fine possano essere incerti. CAMPAGNA BACI BENETTON HU JINTAO OBAMA jpegCAMPAGNA BACI BENETTON HU JINTAO OBAMA jpeg Lo scandalo principale, che ha stravolto l’ordine quasi preordinato del congresso, è quello di Bo Xilai, l’ex capo del partito di Chongqing deposto per una serie di crimini in relazione all’omicidio dell’inglese Neil Heywood. Dopo di questo ci sono però state anche le accuse di corruzione contro la famiglia del futuro presidente Xi Jinping (lanciate da Bloomberg) e quelle contro la famiglia del premier Wen Jiabao (lanciate dal New York Times). Il tutto ha infiammato il dibattito interno e quindi scombinato molte carte che sembravano fissate. Di certo quindi non sembra esserci quasi niente, al di là della ridda di voci. Tra i pettegolezzi di Pechino quasi tutti si dicono sicuri che il prossimo vertice del Paese passerà da nove (numero attuale) a sette membri. Ma pochissimi sono disposti a metterci la mano sul fuoco. Molti affermano che al vertice non ci saranno donne (come è sempre stato) né militari (come è dal 2002), ma chi può esserne sicuro? Al congresso del 2002, il 16°, quando tutto era stato stabilito per filo e per segno ci furono due enormi sorprese: Jiang Zemin, segretario del partito uscente, rimase come presidente della commissione militare centrale e il Politburo ristretto fu allargato a nove membri. Oggi con così tante palle in aria chi può fidarsi di alcunché? Prendiamo una delle promozioni fra le più certe, quella di Wang Qishan, attuale vice premier con incarico per la finanza. Una prima versione diceva che sarebbe andato al fare il vice premier vicario, una seconda lo voleva alla presidenza del Parlamento, una terza a capo della commissione giustizia e ordine, una quarta al vertice del potentissimo comitato di disciplina del partito. Se la sua vicenda pare confusa le altre sono peggio, come il caso di Li Yuanchao, attuale capo del dipartimento organizzazione del partito. Alcuni lo dicono sugli altari del vertice del Paese, altri semplicemente in pensione. Se un risultato hanno ottenuto queste voci è stato quello di creare una suspense all’ultimo minuto, su un congresso che fino a qualche giorno fa pareva girare quasi come un disco rotto: tutto era stato stabilito e organizzato. Una voce recente sostiene anche che il prossimo Politburo ristretto sarà effettivamente eletto dal comitato centrale. Oltre ai due membri già scelti, presidente e premier in pectore Xi Jinping (nominato ieri segretario del Congresso) e Li Keqiang, gli altri cinque potrebbero essere votati in base a una lista di forse otto persone, cosa che garantirebbe la bocciatura per tre candidati. Sarebbe una decisione senza precedenti per il partito, minima se confrontata con la coloratissima e articolata campagna elettorale americana, ma comunque un passo avanti significativo nell’attento minuetto interno del partito. Questo e la scelta anche della futura dirigenza politica dovrebbero essere comunque materia della prossima riforma politica, di cui tanto ha parlato il premier uscente Wen. I contenuti di questa riforma politica rimangono misteriosi. Più chiari invece sono i contorni delle prossime misure per l’economia, tutte tese a rompere i vincoli alla concorrenza creati dalle imprese statali, spezzare il loro potere sul mercato, e dare condizioni migliori per lo sviluppo delle imprese private. Oltre a questo il Governo promette maggiore protezione della proprietà intellettuale e di cedere alcuni suoi privilegi sulle proprietà di terreni e di risorse dello Stato. Queste misure, senza toccare una lira delle casse pubbliche, dovrebbero dare nuovo dinamismo all’economia cinese, e la nuova crescita dovrebbe creare poi sufficiente consenso sociale per concedere tempo alle riforme politiche di essere pensate, sperimentate e attuate. Ma per tutto questo bisognerà poi aspettare la fine del congresso. Qui incombe la domanda più grande di tutte: l’attuale presidente Hu Jintao andrà totalmente in pensione o rimarrà, come successe per il suo predecessore Jiang Zemin, a capo della potente commissione militare centrale? Quale che sia il risultato finale però rimarrà un fatto: questo sarà il congresso di Hu, segnerà la sua eredità per il futuro della Cina, che ambisce ad estendersi non ai prossimi dieci ma ai prossimi vent’anni del Paese.