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 2012  novembre 08 Giovedì calendario

Ambivano a diventare la «maggioranza permanente» degli Stati Uniti, rischiano di restare irrilevanti per almeno una generazione

Ambivano a diventare la «maggioranza permanente» degli Stati Uniti, rischiano di restare irrilevanti per almeno una generazione. Quattro anni fa la novità epocale delle presidenziali americane fu il primo nero alla Casa Bianca, stavolta è la crisi dei conservatori che entra nei libri di storia. Una crisi di idee, uomini, ma soprattutto di coalizione, perché il Gop sta diventando il partito dei bianchi religiosi di destra, un blocco elettorale destinato ad essere sempre più minoranza nel prossimo futuro. Se non cambia strategia in fretta, parlando agli ispanici, alle donne e ai giovani, difficilmente tornerà al potere. Il «cervello» dell’amministrazione Bush, Karl Rove, aveva espresso l’ambizione di creare una «maggioranza permanente» repubblicana, che doveva tenere insieme la destra religiosa, i liberisti in economia, i neocon nella politica estera, il blocco rurale e suburbano da contrapporre alle grandi città dominate dai democratici. Bush però è uscito dalla Casa Bianca in disgrazia, tra i problemi delle guerre in Iraq e Afghanistan, e la Grande recessione cominciata sotto il suo mandato, e il Gop non si è più ripreso: sconfitto nel 2008 con McCain, e nel 2012 con Romney. Il problema fondamentale è che il partito si regge oggi su due pilastri: la destra religiosa, che mette i temi sociali come aborto e matrimoni gay sopra ogni altra cosa, e il Tea Party, che vuole tagliare le tasse e ridurre al minimo la presenza dello stato. Sul piano delle idee è un programma contraddittorio, perché da una parte vuole un governo che ingerisca nella vita personale dei cittadini, imponendo o vietando comportamenti ormai condivisi dalla maggioranza della popolazione; dall’altra invece cerca di diminuire il ruolo dello stato, nel settore fiscale e del welfare. OBAMA NIGHTOBAMA NIGHT Sul piano etnico, poi, questa coalizione è forte soprattutto tra gli uomini bianchi della classe media e bassa, che però stanno diventando minoranza a causa della trasformazione demografica degli Stati Uniti. È quello che Ruy Texeira e John Judis avevano previsto già nel 2002, col saggio «The Emerging Democratic Majority». OBAMA NIGHTOBAMA NIGHT Secondo loro la demografia condanna il Gop, perché il peso politico degli ispanici cresce e i giovani istruiti della classe media e alta fuggono dal conservatorismo. Se ci aggiungiamo anche le donne, che vogliono sanità, istruzione e pari opportunità sul lavoro, i gay, i neri, e magari gli asiatici, diventa un blocco difficile da scalfire, che potrebbe fare dei repubblicani una «minoranza permanente» per almeno una generazione. tea party SPILLEtea party SPILLE Sam Tanenhaus, il direttore della «New York Times Review of Books» e della «Sunday Review», aveva scritto un saggio premonitore intitolato «Death of Conservativism»: «Il Gop - ci ha spiegato - non è più un partito conservatore, ma la fusione di due correnti radicali: la prima lo è nella sua opposizione a qualunque ruolo serio per lo stato; la seconda sui temi sociali. Reagan non era così. GEORGE W BUSH E KARL ROVEGEORGE W BUSH E KARL ROVE Il problema ha origine con il tentativo fallito da Karl Rove di creare una maggioranza permanente. Da quel momento in poi il Gop ha rinunciato alle idee, al contributo degli intellettuali, e si è affidato agli ideologi. È diventato il partito del risentimento, del catastrofismo, dei bianchi anziani e arrabbiati per la perdita di peso economico, sociale o religioso. Ora sappiamo che in America ci sono ancora molti bianchi vecchi e arrabbiati, ma non sono più la maggioranza». IL CROLLO DI BUSH E DEL PARTITO REPUBBLICANO jpegIL CROLLO DI BUSH E DEL PARTITO REPUBBLICANO jpeg La soluzione che il Gop ha adottato per il 2012 è stata scegliere un candidato come Romney, un ex democratico che un tempo favoriva l’aborto, nella speranza di poter rivestire di moderazione il suo radicalismo sociale e fiscale. Non ha funzionato alle primarie, dove la base ha quasi deragliato il progetto dell’establishment, e non ha funzionato alle presidenziali, dove il ricco manager Mitt non è più riuscito ad occupare quello che Schlesinger chiamava il «centro vitale». E non lo hanno aiutato gli analisti, tipo Rove, Barone o Morris, che per partigianeria o interesse hanno ignorato la realtà, continuando a prevedere vittorie a valanga. LA FINE DEL PARTITO REPUBBLICANOLA FINE DEL PARTITO REPUBBLICANO Ora bisogna cambiare e l’esame di coscienza è già iniziato, con la sollecitazione del senatore della Florida Marco Rubio ad «allargare la tenda». I leader giovani ci sono: lo stesso Rubio, che parla agli ispanici in attesa di una riforma dell’immigrazione; Ryan, nonostante la sconfitta con Romney; Christie, anche se ha peccato d’intesa col nemico dopo l’uragano Sandy. Le idee, però, devono andare oltre il radicalismo, e la strategia parlamentare oltre l’ostruzionismo degli ultimi quattro anni, magari cominciando con un compromesso con Obama che eviti il «fiscal cliff» e una nuova recessione.