Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 08/11/2012, 8 novembre 2012
SCOOP, IL CORAGGIO DELLA NOTIZIA
«Sfuggite alla tentazione dello scoop! Ricordate che è la scorciatoia dei somari», raccomandò Indro Montanelli nella sua ultima lezione agli aspiranti giornalisti all’Università di Torino quindici anni fa. E spiegava che lo scoop «consente di arrivare prima, ma male» e che la fiducia dei lettori «bisogna conquistarsela seriamente e faticosamente, giorno per giorno».
Certo, lo scoop può capitare per caso. Sei in vacanza ai tropici, arriva lo tsunami, vedi l’onda che arriva, te la cavi e racconti tutto. Ma come spiega Gianpaolo Pansa, il mito dei cronisti di un paio di generazioni, lo scoop vero, quello che rimane, è frutto di lavoro, fatica, applicazione, intuito, intelligenza, serietà, credito professionale… Un esempio? La notizia clamorosa che diede la mattina del 21 aprile 1984, sul «Corriere della Sera», Andrea Purgatori: «Ci sono tracce evidenti di esplosivo sui reperti del Dc-9 Itavia, disintegrato nel cielo di Ustica la sera di venerdì 27 giugno 1980. L’esplosivo è il "T4" (Esaedro-1, 3,5-Trinitro-5-Triazina, come recita la formula chimica; RDX, come lo chiamano più semplicemente gli americani) utilizzato nella fabbricazione di testate per missili aria/aria o di mine». Non ti arriva per sbaglio, una notizia così: può dartela solo chi ha imparato a conoscerti, ad apprezzare la tua serietà, a fidarsi della tua pulizia professionale.
Sono di questo tipo larga parte degli articoli raccolti da Giangiacomo Schiavi in un libro che esce oggi. Si intitola Scoop! Dal bandito Giuliano al caso Ruby. Cronache e giornalisti da prima pagina e può essere un prezioso breviario per i giovani che vogliono fare questo mestiere, ma anche per chi pensa che il «vero giornalismo libero» sia quello gioiosamente selvaggio appena nato sul Web e ha scordato il ruolo fondamentale di chi, di decennio in decennio, ha scritto pagine di grande passione civile come i pezzi di Lino Jannuzzi che smascherarono il «Piano Solo» del generale Giovanni De Lorenzo.
Giornalisti piccoli piccoli come Giancarlo Siani, ammazzato dalla camorra il giorno dopo aver raccontato di una nonna che a Torre Annunziata mandava il nipotino di dodici anni a fare le consegne di eroina. Inviate come la nostra Maria Grazia Cutuli, assassinata in Afghanistan due giorni dopo avere scoperto uno strano involucro in un campo evacuato da Osama Bin Laden: «Gas sarin: la scritta in caratteri cirillici appare su un’etichetta rossa, incollata su una scatola di cartone. Dalla confezione spuntano venti fialette di vetro, simili a piccoli termometri, riempite di liquido giallo e pastoso. È una delle sostanze più velenose e letali prodotte in laboratorio. Un gas nervino, un’arma chimica capace di uccidere al solo contatto con la pelle…». Croniste cocciute come Elisabetta Rosaspina che una sera di dicembre del 1995, nonostante sapesse che il giorno dopo i giornali non sarebbero usciti, continuò a tempestare di telefonate un tizio che partecipava alla spartizione delle poltrone nelle Usl finché, per un tasto premuto male, si ritrovò a registrare parola per parola le trattative in corso fino alle tre di notte: «Se Piazza va a Lecco, e Berger al posto di Crotti, mettiamo Arduini a Milano 2, ma Riboldi resta fuori…». Scoop «di sinistra» come la leggendaria intervista del 1980 di Paolo Guzzanti a Franco Evangelisti: «Ministro Evangelisti, lei ha preso soldi dai Caltagirone?». «Sì, da Gaetano. Io sono amico di Gaetano Caltagirone, gli altri fratelli quasi non li conosco». «Quanti soldi?». «E chi se lo ricorda. Ci conosciamo da vent’anni e ogni volta che ci vedevamo lui mi diceva: "A Fra’, che te serve?"». Scoop di destra, come quello del «Giornale» sulla casa del cognato di Gianfranco Fini firmato da Gian Marco Chiocci: «Il fantasma della vedova Anna Maria Colleoni, fascista convinta e poi generosa benefattrice del patrimonio di An, si aggira spaesato fra i tornanti di Montecarlo...». E poi i reportage indimenticabili dei grandi inviati. Come quello di Ettore Mo da Kabul, nel 1979, al tempo della presenza russa: «Il compagno Noor Mohammad Taraki è un caro amico per tutti i connazionali che lavorano duro, che sono onesti e patriottici. È altamente colto, modesto e comprensivo. Il compagno Taraki non ha proprietà personali a eccezione di una casa di fango…». O quello di Bernardo Valli su «Repubblica» il giorno dell’arrivo degli americani a Baghdad: «C’è chi fa rotolare dei pneumatici sull’asfalto, chi porta sulle spalle un frigorifero, un mobile, una poltrona; chi tiene stretta tra le braccia una bilancia; chi ha in bilico sulla testa un materasso. I due marines sono sommersi dalle bande di saccheggiatori che, all’alba, appena sono scomparsi poliziotti e soldati iracheni, hanno cominciato a svaligiare i negozi…».
Ha fatto un gran lavoro, Giangiacomo Schiavi. Mettendo a confronto pezzi di bravura e coraggio civile pagati a volte con la morte (come l’articolo di Walter Tobagi che spronava a combattere i brigatisti senza pensare che «debbano essere, per forza di cose, samurai invincibili») con gli scoop falsi e imbroglioni: «Pierluigi Magnaschi è un collezionista del genere. Un giorno su "Italia Oggi" elenca le bufale collezionate dalla stampa in poche settimane. Qualche perla? Uno: la polizia stradale ferma in Val d’Aosta tre suore che viaggiano su una Fiesta a 180 all’ora; megamulta e patente congelata. Due: il telecronista Giampiero Galeazzi condannato a pagare 1.500 euro per aver dato del "terrone" al portinaio del suo condominio. Tre: un prete fermato per controlli dai carabinieri fa saltare l’etilometro risultando quasi alcolizzato; con i militari si giustifica dicendo che ha dovuto bere il vin santo perché ha celebrato quattro messe in un giorno. Quattro: una sposa in viaggio di nozze alle Mauritius rientra in stanza e trova il marito a letto con un’altra sposina in vacanza matrimoniale…».
Bufale troppo spesso sparate in prima pagina da direttori, caporedattori, cronisti di bocca buona. Ma riscattate dal lavoro quotidiano di chi, come Giorgio Bocca, forte di una credibilità che altri non avevano, fu «scelto» da Carlo Alberto dalla Chiesa per la sua intervista-testamento. O dalla straordinaria generosità di Gigi Ghirotti, che si spogliò di ogni pudore per offrire ai lettori il racconto del suo calvario ospedaliero: «Da quasi un anno m’insegue un odore d’etere, d’alcol, d’antibiotico, di lisoformio, e questo cocktail olfattivo mi pizzica entro le nari, m’inzuppa fino alle ossa, mi s’è attaccato alla pelle….».
Gian Antonio Stella