La Stampa 08/11/2012, 8 novembre 2012
MONTI: “ANCHE SCALFARO MI VOLEVA PREMIER E BOSSI ERA FAVOREVOLE”
[Il Professore svela un inedito retroscena del 1994: “Frenato da Berlusconi, alla fine fu nominato Dini”] –
Esce oggi il nuovo libro di Bruno Vespa «Il Palazzo e la Piazza. Crisi, consenso e protesta da Mussolini a Beppe Grillo» (Mondadori–Rai Eri, 444 pagine, 19 euro). E’ una cavalcata attraverso le crisi economiche italiane e internazionali, da quella del ’29 all’attuale, che pesa di più sull’umore popolare per i casi di corruzione politica che hanno portato astensionismo e voto di protesta anche nelle recenti elezioni siciliane. Pubblichiamo un brano tratto dal volume.
«La prima volta che mi è stato chiesto di guidare il governo?». Mario Monti sorride e offre una risposta imprevista. «È stato alla fine di dicembre 1994, quando Umberto Bossi fece cadere il primo governo di Silvio Berlusconi. Il presidente Oscar Luigi Scalfaro, durante le consultazioni, si sentì proporre un governo tecnico, e alcune personalità, soprattutto del centro e della sinistra, fecero il mio nome. Anche lo stesso Bossi e Giorgio La Malfa avanzarono tale proposta. «Scalfaro mi invitò due volte a Roma, in quei giorni. Ero in vacanza con la famiglia, tra Natale e Capodanno, e andai a trovarlo: prima nella casa che abitava con la figlia Marianna e successivamente al Quirinale. Due colloqui riservati, durante i quali mi descrisse una situazione economica e finanziaria molto grave. Per rafforzare le sue opinioni, al secondo incontro fece intervenire il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio. Dopo sei ore di conversazione, sommando i due colloqui, Scalfaro mi convinse a lasciarlo tentare. Il governo Berlusconi mi aveva designato già da alcuni mesi come commissario italiano alla Commissione europea e il 5 gennaio successivo avrei avuto l’audizione al Parlamento europeo per la conferma. Dissi al presidente che tenevo molto all’incarico europeo e che, in più, non mi sentivo preparato a guidare il governo. Se lui avesse tuttavia ritenuto che la mia fosse l’unica soluzione possibile, avrei accettato, unicamente però alla condizione di avere l’appoggio non solo del centrosinistra, ma anche di chi mi aveva designato come commissario europeo, cioè di Berlusconi.
«Scalfaro fu lieto della mia disponibilità e si riservò di parlarne con Berlusconi. L’indomani ebbi due telefonate, a breve distanza l’una dall’altra, da Scalfaro e da Berlusconi. Entrambi mi riferivano sul colloquio tra loro. Le due versioni coincidevano. “Ho grande stima per il professor Monti” aveva detto Berlusconi a Scalfaro “ma punto a nuove elezioni o a un gabinetto presieduto da un membro del mio governo uscente.” Fu scelto Lamberto Dini. Sollevato, me ne partii per Bruxelles, per la mia avventura europea che sarebbe durata dieci anni. In cuor mio, ero doppiamente grato a Berlusconi: per avermi designato commissario e per aver reso impossibile la mia nomina a capo del governo.
«Al di là del mutamento di opinione di Bossi (favorevole a un governo tecnico e al mio nome allora, radicalmente contrario oggi), ci sono molte analogie tra l’episodio del 1994 e quanto è accaduto alla fine del 2011. Comune ai due episodi è stata la mia riluttanza ad accettare un incarico di governo, a meno che lo si ritenesse necessario, in condizioni di emergenza, e purché il governo avesse un sostegno non di parte, ma di larga convergenza. Dopo la vicenda di fine 1994, mi convinsi che tali circostanze non si sarebbero più ripetute».
«Iniziai, però, a ricredermi nella seconda parte del 2010 quando venni messo in “preallarme” da Massimo D’Alema, Pier Ferdinando Casini, Francesco Rutelli, Walter Veltroni, Enrico Letta e da altre personalità del centrosinistra, ma anche da alcune del PdL. La situazione finanziaria si aggravò nell’estate del 2011. In un giorno di luglio venne a trovarmi alla Bocconi Romano Prodi. Erano momenti drammatici, aprimmo il computer e vedemmo che lo spread tra i nostri titoli a dieci anni e quelli tedeschi era sopra i 250 punti. “Preparati” mi disse. “Se tocca i 300 punti, ti chiamano”».
«In realtà, la fatidica telefonata del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano arrivò il 9 novembre. Quel giorno lo spread aveva toccato i 574 punti. Il presidente mi comunicò che aveva appena firmato la mia nomina a senatore a vita. Ero a Berlino. Mi diede appuntamento per l’indomani al Quirinale».