Max Pezzali, Rollingstone 30/10/2012 (n°109 Novembre), 30 ottobre 2012
LA DURA LEGGE DEL RING
[Max Pezzali è rimasto talmente folgorato dalle imprese di Alessio Sakara - "il legionario", unico italiano nell’Ultimate Fighting Championship - che gli è venuta voglia di intervistarlo. Gli abbiamo dato carta bianca] –
Faccio molta attenzione ai Tutor installati di recente sull’Aurelia, mentre percorro il tratto che separa Roma da Fregene, dove ho appuntamento con Alessio Sakara per qualche chiacchiera e un paio di scatti; con la lancetta sempre sotto i 90 km/h mi torna in mente un episodio risalente all’estate del 2011, quando lui si trovava in Florida ad allenarsi presso l’American Top Team di Coconut Creek e io ero in vacanza con la famiglia a Hollywood, poco a nord di Miami. Un giorno ci siamo incontrati per portare mio figlio a visitare il Seaquarium, al cui interno, oltre ad assistere alle esibizioni di delfini e orche, si può passeggiare su pedane in legno sopraelevate che attraversano l’habitat di alcuni grossi alligatori.
Ricordo che Alessio a un certo punto si fermò di fronte a uno di questi mostri, separato da noi solo da una rete metallica di protezione, e mi disse: «Immagina quali pensieri possono girare nella sua testa. Lui sa che, anche se riuscisse a sfondare la recinzione, non arriverebbe a prenderci. Secondo me, si sta concentrando con tutte le sue forze, perché si rompa la passerella e noi cadiamo di sotto... Pensa quanta energia negativa ci sta trasmettendo!». Scoppiai in una risata, perché mi divertiva molto l’immagine di un alligatore dispensatore di strali di sfiga che cerca di divorare due italiani rompicoglioni... Ma mi venne da ripensare al lucertolone quando, pochi giorni dopo, un brutto infortunio al ginocchio rimediato in allenamento privò Alessio dell’opportunità di combattere contro Jorge Rivera all’UFC 133 (nel circuito dell’Ultimate Fighting Championship ogni incontro è contrassegnato da un numero, ndr) di Philadelphia. Ci rivedemmo proprio qui, a Fregene, appena prima che si sottoponesse all’intervento chirurgico. Era in preda alla frustrazione, si era allenato benissimo e si sentiva pronto a vincere; invece, lo aspettavano il tavolo operatorio e mesi di fisioterapia riabilitativa.
Ma non ha mai mollato. «Gli infortuni fanno parte di questo lavoro come le vittorie e le sconfitte», continuava a ripetermi. «Supererò anche questa e tornerò più forte di prima». Il luminare dell’ortopedia che lo ha operato ha detto di non aver mai visto nessun paziente recuperare forza e tono muscolare tanto rapidamente; e poco importa che al suo ritorno sul ring, lo scorso aprile, Alessio abbia perso contro il mostruoso eroe di guerra statunitense Brian Stann: il "Legionario" (è il nik di Salcara nell’ambiente) non si arrende mai. Arriviamo al parcheggio quasi in contemporanea, e vederlo uscire dalla sua Smart lo fa sembrare ancora più gigantesco; ci sediamo a un tavolino del Singita, un trendissimo chiosco chic sulla spiaggia, dal quale si gode di uno dei tramonti più suggestivi del litorale. «Questo è uno degli aspetti più difficili della preparazione atletica prima di un incontro...».
Cioè? La dieta. Desidero da morire una birra, magari accompagnata da salatini e palatine, ma dovrò ordinare dell’acqua. Ci sono momenti in cui, dopo un allenamento pesante, mi divorerei questo mondo e quell’altro e, invece, devo accontentarmi di integratori, proteine e schifezze varie...
Non mi dire che sei goloso! Da quando ti conosco sei perennemente a dieta, non ti ho mai visto mangiare una roba normale. Se sono goloso? Mia moglie, da anni, deve nascondere persino le merendine dei bambini, mi prendono certi attacchi di fame notturni, che, se per caso dovessi trovare un barattolo di Nutella, lo farei diventare completamente trasparente...
E invece? E invece, alla fine, mi fermo un attimo a pensare a tutti i sacrifici fatti in allenamento, alla mia famiglia, alla faccia dell’avversario contro cui dovrò combattere, ai collaboratori e agli amici che credono in me... E torno a mangiare le mie porcherie da atleta.
A parte la dieta, credo che un fighter come te, nel mondo reale, non tema nulla. Detta in modo brutale, sei una macchina da combattimento: pugni, calci, prese a terra... Hai mai paura di qualcosa o di qualcuno? Come no, certo! Ad esempio, mi fanno paura le motociclette e in generale i veicoli a due ruote. Da ragazzine ci giravo, ma da quando sono diventato professionista non ho più voluto saperne: il rischio di rompersi le ossa è troppo alto e un atleta non se lo può permettere. Poi sono terrorizzato dal mare... Intendiamoci, so nuotare perfettamente, ma mi mette ansia pensare a ciò che non vedo sotto il pelo dell’acqua. Una volta ero in barca con degli amici al largo della Florida e abbiamo deciso di tuffarci per fare un po’ di snorkeling. Non l’avessimo mai fatto: a poca distanza da me c’era un barracuda con la bocca aperta, una specie di mostro con dei denti enormi che mi puntava! Sono risalito a bordo alla velocità della luce, col respiro affannoso e la tachicardia...
Che sarà mai, con un pugno potresti ammazzare uno squalo bianco, altro che un barracuda... Ma che dici? Ci sono situazioni in cui coi pugni puoi fare ben poco, e di sicuro un corpo a corpo con un predatore marino in mezzo all’oceano è una di queste. Sono stato in posti complicati: in Colombia a specializzarmi in tecniche di pugilato e in Brasile a imparare il brazilian jiu jitsu, e ti assicuro che a volte i pugni vanno tenuti bene a freno. Come quella volta, a Rio...
Raccontami. Vivevo a Rio de Janeiro già da parecchi mesi; per andarci avevo dato fondo ai miei risparmi, perché sapevo che per diventare un bravo fighter di arti marziali miste, provenendo dal pugilato, avevo bisogno di imparare le prese a terra, e il brazilian jiu jitsu era la disciplina più adatta allo scopo. All’inizio dormivo sui materassini in palestra, perché non potevo permettermi un alloggio, poi migliorando come combattente avevo iniziato a vincere le prime borse degli incontri, rimediando in tal modo denaro sufficiente a pagarmi un affitto. Avevo appena combattuto e vinto a Manaus ed ero tornato felice a Rio con una somma corrispondente a qualche migliaio di euro; sapevo che da quelle parti bisognava fare attenzione a girare con certe cifre in tasca, anche perché rincontro era stato trasmesso in televisione e qualche balordo avrebbe potuto riconoscermi. Così nascondo il denaro dentro a un paio di calzini in un cassetto dell’armadio e penso di essere stato sufficientemente astuto. Una sera, di ritorno dagli allenamenti in palestra, appena richiusa la porta di casa, mi sento premere addosso la canna di una pistola. "Non fare cazzate e vai in camera", dice uno dei tre uomini armati e incappucciati che mi tengono sotto tiro. Mi ordinano di sedermi sul letto. "Dove sono i soldi?". "Quali soldi?", rispondo con la migliore aria da ingenuo che riesco a sfoderare. "Allora non hai capito", dice quello che sembra il capo della banda, ed estrae dalla tasca una di quelle fascette autoserranti che la polizia usa al posto delle manette. Mi bloccano le mani, e il capo appoggia la canna della pistola contro un mio ginocchio. "Se non mi dici subito dove sono i soldi, ti faccio saltare entrambe le rotule e tu non potrai mai più combattere". Vuoto immediatamente il sacco, specificando persino il colore dei calzini nei quali è nascosto il rotolo di banconote...
Mi sembra un caso un po’ estremo: tre uomini armati sicuramente sono un ostacolo difficile anche per uno come te... Ma se non avessero avuto le pistole te li saresti mangiati in un solo boccone! Non è questo il punto. Il punto è che ci sono situazioni nelle quali la forza fisica e l’abilità nel combattimento semplicemente non servono a niente. In giro è pieno di coglioni che sono convinti di essere invincibili solo perché nel loro quartiere sono considerati quelli che menano di più. Poi, un bei giorno, la vita gli fa fare un bei bagno d’umiltà e, se sono abbastanza furbi e fortunati da capire la lezione, abbassano la cresta e imparano a dare il giusto valore alle cose.
Ne hai incontrati tanti di coglioni? Tu conosci bene la mia storia. Sono cresciuto alle case Gescal (Gestione case per i lavoratori, ndr) di Pomezia, ho vissuto sulla strada e ho avuto le mie esperienze di vita. Ho visto tanti amici fare una brutta fine, alcuni sprofondati nel pantano della droga, altri persi in una spirale di reati sempre più gravi. Per me lo sport è stato una valvola di sfogo e una via di fuga. Ho giocato a calcio per anni ed ero anche piuttosto bravo, poi, quando mi sono reso conto che c’erano allenatori che insegnavano ai ragazzini come tuffarsi in area per farsi concedere i rigori, ho capito che non era lo sport che faceva per me. Meglio l’onestà del pugilato: un uomo contro un uomo, ci si mena, ma senza barare e senza man- carsi di rispetto. Perché lo sport dev’essere sicuramente divertimento, devi fare qualcosa che ti appaghi e che ti dia piacere; ma dev’essere anche disciplina, deve darti delle solide basi morali, altrimenti è soltanto un passatempo.
Molti appassionati di pugilato dicono che le arti marziali miste non hanno la dignità della Nobile Arte: due energumeni che si menano dentro una gabbia, altro che disciplina... Forse poteva essere vero agli albori di questo sport, quando effettivamente non c’erano regole ed era tutto un po’ troppo selvaggio. Oggi è diverso: si miscelano le tecniche di pugilato, muay thai, brazilianjiujitsu, sambo e mille altre discipline, fino a farle diventare un unico grande sport. Non a caso, negli Stati Uniti, l’UFC, la federazione regina delle arti marziali miste, è una delle realtà più forti in termini di ascolti e popolarità, al livello del Basket (NBA) e del Football (NPL).
Infatti, quando eravamo in giro insieme in Florida, ricordo che in tante occasioni le persone ti fermavano per fare foto con tè e chiederti autografi: piace molto il tuo personaggio di "leglonarius" romano. Non è che tè lo sei costruito apposta con tanto di tatuaggi a tema come operazione di marketing, sapendo della predilezione degli americani per l’antica Roma? Ma che ne so del marketing, io so’ de Pomezia! A parte gli scherzi, sono sempre stato appassionato della storia di Roma, dei suoi miti e delle sue leggende; mi è sembrato normale trasferire questa passione nel mio lavoro... Poi, se agli americani piace, meglio ancora!
Se i tuoi figli da grandi volessero seguire le tue orme e diventare dei fighters, come reagiresti? Ne sarei i felice e orgoglioso: come ti ho detto, gli sport da combattimento sono innanzitutto una disciplina, un’educazione morale.
Vincerai a Montreal contro Patrick Còte? Porco Giuda, Max, tu e la scaramanzia proprio non andate d’accordo, eh?
E ora di tornare a Roma. Saluto Alessio e mi rimetto il al volante; chissà se riusciremo finalmente a chiudere i conti con quel maledetto alligatore.