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 2012  novembre 07 Mercoledì calendario

TRAFFICO DI RIFIUTI ELETTRONICI. INQUINANO MA VALGONO ORO

Altro che gioiellerie. Il 7,7% della produzione mondiale di oro (320 tonnellate) nel 2011 è finita dentro a computer, te­lefoni cellulari e apparecchiature e­lettroniche, oltre a 7.500 tonnellate di argento. Perciò l’immondizia e­lettronica fa gola, in barba ai rischi per la salute dei consumatori e del­le popolazioni dei Paesi poveri che vivono nelle pattumiere tecnologi­che globali. Quando non riesce a essere espor­tato il Raee, che sta per Rifiuti elet­trici ed elettronici, finisce in una qualche cava clandestina o, nean­che a dirlo, nella Terra dei fuochi. L’Unep (il programma ambientale delle Nazioni Unite) stima che ven­ga riciclato solo il 10% dei 50 milio­ni di tonnellate prodotti ogni anno nel mondo. Circa il 13% della pro­duzione europea di Raee viene in­ghiottita dagli inceneritori, mentre il 54% viene dirottato verso Cina, In­dia e Africa (soprattutto in Nigeria e Ghana) e solo la restante parte è smaltita correttamente.
Nel nostro Paese il sistema ufficiale di gestione della spazzatura elettro­nica sfiora un costo di 180 milioni di euro che, secondo stime, nel 2019 po­trebbe superare i 700 milioni di euro. Il cosiddetto canale informale di smaltimento è invece costituito da o­peratori privati, prevalentemente in­termediari, riciclatori, recuperatori di metalli e organizzazioni per il riuti­lizzo che raccolgono, trattano e smal­tiscono almeno il 35% dei rifiuti elet­tronici: oltre 300mila tonnellate.
Secondo uno studio di ReMedia, u­no dei principali ’sistemi collettivi’ no-profit per la gestione eco-soste­nibile di tutte le tipologie di scarti e­lettronici, i Raee generati in Italia nel 2011 ammontano a circa 880mila tonnellate, pari a 14,6 chili per abi­tante, ma i ’sistemi collettivi’ ne hanno raccolti soltanto 4,3 chili per persona, pari al 37% dei flussi com­plessivi. Circa 5 chilogrammi per a­bitante vengono gestiti dal ’canale informale’ e altri 5 chili vanno a comporre il ’disperso’. Come se 10 chili per italiano non seguissero il flusso ufficiale generando un grave danno a livello ambientale, econo­mico e della salute dei cittadini.
«I dati e l’analisi dei flussi del settore sono un elemento fondamentale per evidenziare le problematiche della fi­liera dei Raee, considerando le evo­luzioni future e i nuovi obiettivi im­posti dall’Ue», spiega Danilo Bonato, direttore generale di ReMedia. «Alla luce della situazione che emerge dal­lo studio, è chiaro - insiste Bonato ­che serve un cambiamento a livello normativo che impedisca agli opera­tori non ufficiali di sottrarre una par­te consistente di rifiuti tecnologici causando danni di grande rilevanza». Per averne conferma è bastato che Greenpeace nascondesse un segna­latore satellitare all’interno di un vec­chio televisore. Era il 2009 quando l’e­lettrodomestico fu affidato all’UK’s
Hampshire County Council, il servizio di riciclo della Gran Bretagna, che a­vrebbe dovuto smaltire la tv nel Regno Unito o in un Paese Ue. Qualche me­se dopo il tracciato satellitare si fermò in Nigeria. L’azienda di riciclo BJ E­lectronics aveva esportato l’apparec­chio come bene di seconda mano, un modo per aggirare i controlli doga­nali e destinarlo ad una discarica a­fricana risparmiando sui costi di smaltimento.
Di recente 85 compressori di frigori­feri usati sono stati scoperti dalla Guardia di finanza di Ravenna, na­scosti all’interno di un container in partenza per Dakar. L’esportatore se­negalese non ha voluto rivelare l’ori­gine e la provenienza dei rifiuti spe­ciali. «Negli ultimi anni - spiega un rapporto della Guardia di finanza - è aumentato il preoccupante fenome­no dell’esportazione di rifiuti verso i Paesi del terzo mondo, divenuti me­te preferite per riuscire a tagliare si­gnificativamente i costi di smalti­mento di sostanze pericolose. Con i conseguenti rischi per salute e am­biente ». Migliaia di rottami elettronici lascia­no ogni giorno l’Europa, dove ogni anno si producono 12 milioni di ton­nellate di Raee. Destinazione Africa, nonostante il divieto del Regolamen­to comunitario di esportare rifiuti no­civi. «Non possiamo più permetterci di sprecare i nostri rifiuti», ha soste­nuto Karl-Heinz Florenz, relatore di un provvedimento al parlamento Eu­ropeo. Tutti, dal produttore al consu­matore, devono fare la loro parte «per garantire la raccolta e il riciclo di un quantità maggiore dei nostri prodot­ti elettrici ed elettronici». Questi scarti per Paesi come la Cina e per le pattumiere asiatiche e africa­ne, rappresentano un business che sembrerebbe di scarso valore, ma tut­to in crescita: circa 75 milioni di dol­lari per recuperare rame, ferro, ac­ciaio, alluminio, vetro, argento, oro, piombo. Secondo il Waste and re­source action programme ( Wrap) l’organismo inglese che coordina le iniziative di corretta gestione dei ri­fiuti, l’ingente volume di vecchi te­lefoni cellulari, elettrodomestici e ap­parecchiature rappresentano un’op­portunità di riciclaggio equivalente a 7 miliardi di sterline (oltre 12 miliar­di di euro), recuperabili nell’arco del prossimo decennio.
Jim Willis, segretario esecutivo delle convenzioni di Basilea, Rotterdam e Stoccolma dedicate proprio ai rifiuti tecnologici, sottolinea che «la gestio­ne corretta delle apparecchiature e­lettriche ed elettroniche rappresenta per numerosi Paesi una seria sfida in materia di salute e di ambiente, ma offre anche delle possibilità poten­zialmente importanti di creare eco­imprese e lavori verdi».
L’esposizione alle sostanze pericolo­se nei siti di smontaggio dei Raee e nei loro dintorni pone molteplici ri­schi per la salute e la sicurezza delle persone che raccolgono e riciclano i rifiuti e per le popolazioni vicine. Un’indagine dell’agenzia Onu per l’ambiente ha rivelato che «l’impiego di bambini è normale nelle imprese di recupero di ferraglie nell’Africa Oc­cidentale. Le attività di raccolta e di smontaggio sono effettuate di bam­bini di età minore di 12 anni, ma per­fino bambini di soli 5 anni vengono reclutati per lavori leggeri, compreso lo smontaggio di piccoli pezzi e la cer­nita dei materiali».