Paolo Guiducci, Avvenire 8/11/2012, 8 novembre 2012
CRISI, LA RIPRESA È VERDE
Un’economia verde per far rifiorire il mercato. E in grado non solo di far lievitare la sensibilità ambientale, ma soprattutto di fornire risposte concrete alla crisi climatica ed economica in atto. Lo testimonia il risultato dell’export italiano in questo settore, in netta controtendenza rispetto al resto del mercato; lo attesta il trend positivo per i lavoratori delle eco-industrie italiane, dove è impegnata il 2,12% della forza lavoro contro una media europea di 1,53%.
Sono alcune istantanee dell’Italia scattata agli Stati generali della Green economy, in programma fino a oggi alla Fiera di Rimini in occasione del salone Ecomondo. L’appuntamento italiano, il primo del genere in Europa dopo il summit di Rio+20, vede coinvolte 39 associazioni di imprese, che rappresentano tutti i settori della green economy italiana, col supporto della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e in collaborazione con il ministero dell’Ambiente. È stato proprio il ministro Corrado Clini ad aprire i lavori: «Il governo - ha esordito ha già messo in campo diverse iniziative a favore delle imprese che investono sulla green economy»: semplificazione delle normative, finanziamenti a tasso agevolato allo 0,5% per imprese che assumono giovani sotto i 35 anni, modifica dei project bond , credito d’imposta agevolato a favore delle imprese che sposano l’innovazione (anche se è ancora in corso il confronto con la Ragioneria Generale dello Stato sulla copertura annuale del credito). Gli Stati generali, nel frattempo, avanzano 70 proposte per far uscire l’Italia dalla crisi. «Si tratta del momento costitutivo della Green economy italiana» non ha dubbi il presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Edo Ronchi. Gli ostacoli alla economia verde si chiamano fisco sfavorevole, normativa spesso carente, mancanza di una visione della produzione e del consumo spesso inadeguata. Ma il rapporto ’Green economy per uscire dalle due crisi’ conferma che l’economia verde è un treno in corsa che non può più fermarsi, e individua sei settori strategici: ecoinnovazione, efficienza e risparmio energetico, fonti rinnovabili, usi efficienti delle risorse e riciclo dei rifiuti, filiere agricole di qualità ecologica e mobilità sostenibile. Se l’Italia, con 29 miliardi nel 2011, è stata la quarta nazione al mondo per investimenti nelle rinnovabili (dopo Cina, Usa e Germania, un frutto degli incentivi), seconda sola alla Spagna in Europa per agricoltura biologica (oltre 1 milione e 100mila ettari, e 48.509 aziende) e tra i leader nel Vecchio Continente per recupero e riciclo di carta e cartone (in 14 anni il consorzio Comieco ha corrisposto circa un miliardo di euro ai Comuni per la differenziata). Non mancano però i buchi neri. La fattura energetica resta enorme, passata in 5 anni da 21,8 miliardi di euro a 61,9 (il 3,9% del Pil). L’ecoinnovazione non è di casa, la produzione di rifiuti urbani cresce più del Pil e dei consumi (dieci Regioni mandano in discarica oltre il 60% dei rifiuti), e il trasporto pubblico è una Cenerentola. Le potenzialità di sviluppo però ci sono, le qualità industriali e tecnologiche pure. «L’Italia dispone di un capitale naturale e culturale tra i più importanti al mondo - conclude Ronchi - . Il made in Italy è ancora, in buona parte, associato e associabile a valori green come la qualità, la bellezza e il vivere bene». Che la vocazione green sbocci.