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 2012  novembre 04 Domenica calendario

I COMUNISTI IN FERRARI FRENANO LA CINA

Pechino
La Cina – che dall’8 novembre rinnova i vertici dello Stato con il diciottesimo congresso del Partito comunista – è ad una svolta. Non vuole più essere solo la “fabbrica del mondo”. Aspira ad un ruolo più importante, ma il motore dell’economia mostra segni di rallentamento. Huang Nubo è uno degli uomini più ricchi e controversi della Cina. “Amo la natura”, dice il, 56enne imprenditore che costruisce centri vacanze per ricchi. Interessante la sua storia: quando aveva 13 anni suo padre si suicidò dopo un violento litigio con un funzionario del Partito. Sua madre morì poco dopo per il dolore. Huang frequentò l’università di Pechino, entrò nel Partito comunista diventando responsabile della divisione propaganda. Poi abbandonò la politica e fondò la sua società.
“Un imprenditore è più libero di un politico”, spiega. Certo le amicizie con la nomenclatura non debbono aver nociuto ai suoi affari. Ogni anno dona in beneficenza 5 milioni di dollari e in Cina tutti lo conoscono per la sua generosità . Lo addolora che il suo ultimo progetto incontri così tanta ostilità. Huang si è innamorato di una zona dell’Islanda e desidera acquistare 31mila ettari di terra per costruire un albergo di lusso con 120 stanze, un campo da golf, un maneggio e un piccolo aeroporto. Molti i sospetti. C’è chi ritiene che sia tutta una manovra dei cinesi per piazzare degli agenti in Islanda. Certo quest’uomo ricco, ma legato ai vertici politici della Cina, non lascia tranquilli né gli islandesi né la Nato.
I TIMORI islandesi potrebbero essere definiti paranoici, ma non sono infondati. Gli imprenditori cinesi stanno acquistando proprietà in tutto il mondo e in molti casi si tratta di iniziative di natura strategica intese a garantire alla Cina materie prime, porti, vie di comunicazione. A metà luglio la Sinopec, il gigante dell’energia a capitale pubblico, ha acquistato per 1 miliardo e mezzo di dollari quasi il 50% della compagnia petrolifera canadese Talisman Energy. Più o meno nello stesso periodo la Cnooc, altro gigante cinese dell’energia, ha acquistato la canadese Nexen per oltre 15 miliardi di dollari. A Pechino si spera che questa azienda specializzata in perforazioni in mare a grandi profondità contribuisca a far fare il salto di qualità alla politica industriale cinese. Sul versante interno, l’economia sta dando segni di rallentamento. Da luglio a settembre il tasso di crescita è stato solo del 7,4%. Un record negativo per una economia abituata ad una crescita costante sopra il 10%. Il fatto è che il modello economico cinese ha “urgente bisogno di cambiamenti” si legge sul rapporto di marzo della Banca mondiale, per la prima volta redatto con la collaborazione del governo cinese. Secondo il rapporto la Cina deve abbandonare il monopolismo di Stato e approvare riforme strutturali.
INTANTO, sulla falsariga del Giappone e della Corea del Sud, si sta rapidamente trasformando in una più matura società industriale. Le conseguenze sono l’aumento dei salari e dei costi di produzione, la carenza di manodopera in alcuni comparti industriali, normative più severe in materia di sicurezza sul lavoro e un maggiore rispetto per l’ambiente. Molte aziende hanno già trasferito la produzione di scarpe e giocattoli in Paesi quali il Vietnam e la Cambogia. Il Pcc si chiede se la Cina debba continuare a scommettere sul capitalismo di Stato con masse di lavoratori che dalle campagne affluiscono nelle zone più industrializzate, o se deve puntare sulle imprese private hi-tech, difficili da controllare e che potrebbero alla lunga mettere in discussione il predominio comunista. Il primo ministro Wen Jiabao ha riconosciuto che la Cina ha problemi che portano ad uno “sviluppo instabile, squilibrato, non coordinato e in ultima analisi insostenibile”. Ma quando due anni fa ha tentato di avviare un processo di liberalizzazione dell’economia, Wen è stato costretto a fare un passo indietro e il prossimo congresso, che probabilmente segnerà una svolta storica, sancirà la sua fine politica. Nella lunga marcia per arrivare ai vertici dell’industria hi-tech, i capitalisti della Cina comunista hanno un obiettivo in mente: la Germania. Mentre alcuni politici della vecchia guardia temono le eccessive influenze dell’Occidente, economisti come Li Daokui incoraggiano apertamente i cinesi ad emulare lo “straordinario modello tedesco”. Li parla con entusiasmo di Berlino. Malgrado la crisi finanziaria e i problemi dell’euro, tutti gli indicatori economici tedeschi sono positivi. A gennaio la Cina ha effettuato l’investimento strategicamente più importante dell’anno facendo acquistare dalla Sany, che produce attrezzature per l’edilizia, la Putzmeister, azienda tedesca leader nel settore delle pompe per il cemento, gioiello dell’economia teutonica. L’acquisizione è costata mezzo miliardo di euro. La Sany, 70.000 dipendenti, ha sede a Changsha, la città famosa in Cina perché vi studiò Mao per sei anni. Il presidente si chiama Xiang Wenbo: “Sono convinto che l’industria tedesca non abbia altra scelta se non quella di formare alleanze strategiche con le principali aziende cinesi come la Sany”.
E QUESTO perché, spiega, la Germania dispone di tecnologie superiori, ma la Cina ha il controllo di enormi mercati. Le aziende tedesche hanno bisogno di mercati nuovi per allargarsi e fare profitti. Le speranze dei progressisti cinesi sono affidate a Wang Yang, 57 anni, responsabile del Partito nella provincia di Guangdong,
considerato il politico più interessante del momento. Wanh Yang auspica riforme di tipo liberale dell’economia cinese. Più volte nella sua provincia si è schierato a fianco dei dimostranti o di quanti protestavano contro le autorità.
Non mancano gli scandali, che si susseguono ad un ritmo senza precedenti. Per Dali Yang, professore di scienze politiche all’università di Chicago, una cosa è chiara: “I politici cinesi sono preoccupati del fatto che alcuni dirigenti del Partito ostentino macchine come la Ferrari o orologi di lusso e siano sospettati di corruzione. Desiderano fare tutto il possibile per evitare che la rabbia dell’opinione pubblica si rivolga contro di loro”.
© 2012 Der Spiegel Distribuito
da The New York Times Syndicate
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto