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 2012  novembre 06 Martedì calendario

I COMICI CHE FANNO POLITICA? È COLPA DEI GIORNALISTI

Se devo vedere Mario Monti beatificato, mi tolgo di mezzo prima. Le pare giusto che per il solo fatto di non scorreggiare, toccare culi o fare le corna, si debba applaudire allo statista capace di restituirci una credibilità mondiale? È allucinante. Ma non finirà così. So che l’ottimismo è una tendenza arbitraria, ma voglio percorrerla”. Per parlare seriamente della maschera ilare di una politica parcellizzata e in mimèsi perpetua tra finzione, realtà, proclama e imitazione, a Vauro Senesi servirebbero le riserve di una Dacia. In mancanza di meglio può bastare una Vodka. Comici che parodiano le disgrazie dei parlamentari, leader che lamentano l’assalto della satira. Maurizio Crozza e Antonio Di Pietro, gli ultimi della serie, in pubblico carteggio sentimentale sugli schermi della Nazione. Il primo a briglia sciolta. Senza sconti. Il secondo alle prese con l’implosione dell’Idv (sempre a mezzo tv), amaro, definitivo, dolente: “Se persino una persona come te contribuisce a divulgare le bugie...”. Un caos dialettico di cui tra le ombre bianche del liquore, Vauro non vede il fondo: “Il caso Di Pietro è lunare. Far morire un’esperienza politica a causa di Report lascia attoniti, ma forse definisce meglio il valore della sua parabola. La vicenda Crozza secondo me è la dimostrazione di una sorpresa inattesa, di un riflesso tardivo. La rappresentazione plastica di un giornalismo completamente in ginocchio in cui i comici sono arruolati loro malgrado. I rappresentanti del popolo sono così assuefatti alla benevolenza da dividere il mondo in due categorie: gli amici che non si possono permettere e purtroppo non si permettono di dire una sola parola fuori linea e i nemici che sono avvezzi a demolirne qualunque iniziativa. Da parte di Di Pietro, ascrivere Crozza alla prima categoria è stato un abbaglio. Ma l’abitudine è diffusa. Se un comico considerato organico fa satira sul suo mondo, scatta l’automatismo. L’accusa di altro tradimento”.
È sempre stato così?
C’era chi sosteneva che la politica fosse la più nobile tra le categorie dello spirito. Un ambito troppo alto per lasciarlo ai soli politici. Qualcuno si è uniformato. Ma la satira non ha soggezioni, neanche degli amici ed è una profonda forma di partecipazione.
Quella televisiva può orientare
un destino?
Non credo, ma può servire da ottima scusa per sviare l’attenzione da questioni più serie. Prenda la Fornero. Settimane fa avrebbe dovuto rispondere ad alcune domande sulla Fiat. Avevo osato dedicarle una vignetta lo stesso giorno. Lei, furbissima, non ha perso tempo. Davanti ai cronisti ha dettato le regole: “voglio parlare solo di Vauro”. Nessuno, dico nessuno che abbia emesso un fiato. Si sono accontentati di un gossip miserabile. La stampa le vuol bene.
La prevalenza del comico in politica è il sentiero di domani?
Ma la satira, da Plauto a Dario Fo si è sempre occupata di potere e l’interlocutore non era quasi mai il politico di turno. Io ho fatto milioni di vignette sui politici, ma non ho mai pensato a loro mentre le facevo.
Riceveva messaggi meno concilianti di Crozza?
Medaglie. Vanti. Bertinotti mi diede del barbaro, ma la satira deve scontentare, altrimenti è un’altra cosa.
Il Benigni televisivo scontentava?
Anni fa. Oggi mi sembra un comico lievemente ministeriale. Istituzionale. Arriva con il cavallo bardato dal Tricolore, spiega l’inno di Mameli. Un po’ troppo.
La politica però teme la satira e
si mostra autoironica. Bersani
si prende in giro, riadatta sketch di Crozza. Li ripropone.
Ma è un problema di Bersani, non di Crozza. Anche La Russa si appropriò delle gag di Fiorello. Abbiamo dei politici di così scarsa personalità, molto affezionati alla loro caricatura. Li capisco. La parodia della personalità ha molta più profondità della personalità stessa.
E i fratelli Guzzanti?
In un mondo più giusto animerebbero le notti della tv di Stato, ma come saprà la qualità in Rai non è né un merito, né un obiettivo. Manca anche Luttazzi. Devo notare che non si è buttato in politica. È già molto. Altri l’hanno fatto.
Grillo la fa ridere?
Ho la sensazione che si prenda troppo sul serio, quindi poco. Dispensare verità scegliendo chi è degno di ascoltare e chi no, non mi fa ridere. Qui mi fermo, so già cosa diranno. “Venduto al Pdl, al Pd, ai poteri forti”. Le truppe della politica attuale sono un terribile lascito del berlusconismo e dei partiti a intestazione unica. Da Pannella a Vendola, negli ultimi 20 anni ci son cascati tutti.
Domani anche Monti? Dicono
ricordi Buster Keaton.
Buster Keaton faceva ridere, simulava seriosità impassibile al solo scopo di prenderla per il culo. Monti ci crede, è tutta un’altra cosa.