Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 6/11/2012, 6 novembre 2012
UN GRANDE BUROCRATE È PER SEMPRE
Alzi la mano chi conosce Mario Canzio e Vincenzo Fortunato? Il palazzo li conosce benissimo. Canzio è il ragioniere generale dello Stato, fu nominato nel 2005, e dunque ha attraversato quattro governi, due di Silvio Berlusconi, uno di Romano Prodi e uno di Mario Monti. Il predecessore si chiama Vittorio Grilli, attuale ministro per l’Economia. Fortunato è capo di gabinetto al Tesoro, incarico assegnatogli dall’ex ministro Giulio Tremonti e confermato dal professor Monti: la prima volta, stesso ruolo e stesse mansioni, fu nel lontano ’93. Due nomi per rendere l’idea. Due nomi per tradurre un attacco concentrico ai burocrati di Stato che proviene dal Corriere della Sera (con toni più sfumati) e da Repubblica (con aggettivi più taglienti). Ernesto Galli della Loggia (Corriere) l’ha presa molto larga e molto distante: “Ogni giorno di più il centro della scena italiana si affolla di un nuovo personaggio: il ‘notabile a disposizione’. Per centro intendo proprio il Centro dello schieramento politico, quello gravitante dalle parti dell’Udc. È qui soprattutto, infatti, che il ‘notabile a disposizione’ sembra trovare il suo habitat più confacente, la sua destinazione naturale. Non è inutile fare nomi: Corrado Passera, Andrea Riccardi, Luca di Montezemolo, Lorenzo Ornaghi, Ernesto Auci, Raffaele Bonanni”. Questo passaggio tocca vari punti: il burocrate o notabile, tecnico se preferite, s’eleva e s’inabissa con frequenza ciclica. Anche i ministri Filippo Patroni Griffi, Corrado Clini, Fabrizio Barca e Renato Balduzzi erano apprezzati e influenti burocrati che, grazie all’esecutivo apolitico, si sono appuntati nuove medaglie e nuovi mestieri. Ma restano uomini di Stato. Come quelli che, sconosciuti e tanto potenti, chiama in causa l’economista Tito Boeri: “Alcuni di questi alti burocrati possono anche essere animati dalle migliori intenzioni, ma in una democrazia non ci possono essere capi di gabinetto o capi dell’ufficio legislativo a vita. [...] Difendono il loro operato passato e hanno tutti gli incentivi ad opporsi ad una condivisione delle informazioni di cui dispongono e che hanno accumulato in tanti anni. È proprio l’essere depositari di queste informazioni ciò che conferisce loro potere di monopolio e li rende funzionari a vita. Il problema rischia di accentuarsi nella prossima legislatura”. Boeri cerca di spingere il lettore verso il ginepraio che affronta un decreto legge appena licenziato dal governo, che s’impantana nei conti (che fa Canzio) e nei divieti (che fa Fortunato). Vi ricordate la famosa “copertura economica?”. Roba da burocrati di un certo spessore, anche politico. Beccato a (non) rinnovare le strutture selezionate da Berlusconi e Tremonti, Monti disse di aver “agito secondo coscienza”: cioè sapeva che i due già citati sono particolarmente legati al mai amico Giulio. La questione, però, non è di simpatia e di antipatia. È pratica: proprio Boeri sottolinea che l’84 per cento dei provvedimenti di palazzo Chigi è disperso chissà dove. E i ritardi s’accumulano nel palazzo, dove si stagliano per decenni i funzionari-burocrati. Claudio Zucchelli esamina le leggi che transitano da palazzo Chigi ormai da tanti governi. Mario Torsello, grazie a Corrado Passera, ha aumentato la sua presenza. È raddoppiata. L’ex banchiere l’ha nominato capo di gabinetto per il ministero dello Sviluppo economico e anche dei Trasporti e Infrastrutture. Ogni cosa passa per Torsello. Che di tempo ne ha passato nei palazzi: prima esperienza all’ufficio legislativo con i governi di Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi. Compito simile con il ministro Sandro Bondi, ma ai Beni Culturali. Lì dove Salvo Nastasi è stato capo di gabinetto trasversale e direttore degli spettacoli. L’ex vicecapo dei poliziotti Giuseppe Procaccini è stato il più fidato collaboratore di Roberto Maroni agli Interni e adesso affianca Annamaria Cancellieri, prima del 2008 si occupava di amministrazione sempre al Viminale. Il prof. Francesco Tomasone, che soffre l’onnipresenza di Elsa Fornero, è capo gabinetto al Lavoro da anni, già uomo vicinissimo a Tiziano Treu e Cesare Damiano. Non c’entra con i burocrati, ma la storia di Ugo Zampetti è esemplare: è stato eletto segretario generale di Montecitorio nel ‘99 con una maggioranza semplice. Non potranno mai cacciarlo. Perché per farlo occorre una maggioranza di due terzi. In attesa, in tredici anni ha guadagnato 6 milioni di euro (lordi).