Marco Valsania, Il Sole 24 Ore 7/11/2012, 7 novembre 2012
LA RIVOLUZIONE DELLO SHALE GAS
Ray Kemble non ha mai sentito parlare di Marcus Claudius Marcellus, eroe delle campagne di Gallia e delle Guerre Puniche. Ma il nome del generale è indissolubilmente legato a questa zona rurale della Pennsylvania. È qui, tra campi e boschi, balle di fieno e allevamenti di mucche e cavalli, l’epicentro della rivoluzione energetica d’America.
Kimble, e la sua officina meccanica, siedono sopra la Marcellus Shale, un enorme tesoro di gas naturale prigioniero di formazioni rocciose da estrarre con il fracking, le innovative tecniche della fratturazione idraulica. «Hanno cominciato sei anni fa a offrire contratti per sfruttare i terreni. Ora solo in questa zona ci sono un centinaio di pozzi come quello», racconta accennando col capo a una recinzione a poche decine di metri. Poca cosa, a vederla: una specie di oasi con qualche serbatoio cilindrico. Ma se la Pennsylvania è stata la patria dei primi pozzi petroliferi, a metà ’800, adesso proprio Dimock è la capitale del gas naturale. Sono avvenute qui le prime estrazioni dalla Marcellus Shale. C’è il pozzo più produttivo ed è diventato laboratorio dello sforzo di conciliare sviluppo e ambiente. I residenti hanno accolto con entusiasmo il boom. Hanno però portato in tribunale le società energetiche per scarsi controlli di sicurezza e sull’inquinamento. E guardano con sospetto sia a Mitt Romney che a Barack Obama, che fino all’ultimo si sono contesi i loro voti rendendo la Pennsylvania, uno stato incerto.
Le cifre sul tesoro della Marcellus Shale si rincorrono, come il traffico delle autocisterne sulle strette strade di campagna che hanno trasformato Dimock in un set di fantascienza.
Standard & Poor’s ha valutato che Marcellus contenga quasi la metà di tutte le riserve di gas nel paese e lo shale gas già oggi è un terzo delle forniture totali. È, per potenzialità, il secondo giacimento al mondo dopo South Pars, tra Qatar e Iran. Citigroup ha intitolato un suo rapporto «Nordamerica, il nuovo Medio Oriente?» e stimato che la riscossa industriale dell’America trainata dal gas può aggiungere il 3% al Pil e portare in dote 3,6 milioni di occupati entro il 2020, quando avrà superato Arabia Saudita e Russia nella produzione energetica. Il boom ha già ridotto del 17% le importazioni di greggio dai massimi del 2005, che l’anno prossimo dovrebbero scendere al 39%, un record dal 1991. E Industrial Info Resources ha stimato che il gas abbia mobilitato 226 miliardi in nuova spesa in gasdotti, immagazzinamento e centrali energetiche per i prossimi cinque anni.
In Pennsylvania il Dipartimento del Lavoro ha valutato così l’impatto locale: 150.616 posti dal 2009 (420 per ciascun pozzo) con un salario medio superiore agli 80mila dollari l’anno. Cinquantamila proprietari terrieri che intascano assegni per i diritti di sfruttamento dei pozzi da oltre 400 milioni l’anno. Il calo del prezzo del gas (12 dollari per Btu nel 2008, 3,5 oggi) ha innescato un rilancio generalizzato: grandi aziende stanno tornando in aree a lungo degradate. L’energia è un quinto dei costi nel settore metallurgico e la domanda di macchinari sostiene la metalmeccanica. Shell prepara un impianto chimico a Beaver Valley, vicino a Pittsburgh, per i derivati dal gas necessari alle plastiche.
Dimock apre sfide che rimarranno aperte ancora per molti anni dopo le elezioni. «Sono in tanti a ricevere assegni a fine mese o ad aver trovato lavoro», dice Russell Rosengrant, ex pilota militare in Iraq e portavoce informale della cittadina. Vota per Romney, «perchè le aziende hanno bisogno di più ottimismo e meno regole per investire». Non così Kemble: vuole lo sviluppo. Ma anche maggiori controlli, quelli chiesti da Obama: mostra una tanica di acqua contaminata per il fracking che esce dal suo rubinetto. E aggiunge: «Sono tuttora in causa con le società energetiche».