Massimo Parrini, Il Sole 24 Ore 7/11/2012, 7 novembre 2012
DEBITO, EMERGENZA BIPARTISAN
Gli americani devono molto ai cinesi. Per l’esattezza, 1.150 miliardi di dollari. Valgono tanto le obbligazioni del Tesoro Usa in mani cinesi.
È "solo" il 7% dei 16.235 miliardi di debito federale che la Casa Bianca si troverà a gestire. Ma il fatto che ogni singolo cittadino abbia oggi un debito, seppur virtuale, di 3.611 dollari con Pechino, a molti americani non va proprio giù. Soprattutto a quelli di destra. Non a caso, durante questa campagna elettorale Mitt Romney e i repubblicani hanno ripetutamente agitato lo spettro dell’eccessivo debito cinese per convincere gli elettori a optare per un cambiamento.
Non solo si è paventato il rischio che Pechino utilizzi a fini geopolitici la leva fornita dalla propria posizione di creditore straniero "number one", ma anche quello opposto, e cioè che decida di liberarsi del debito americano in proprio possesso vendendo massicciamente Treasury bond. Quest’ultimo scenario è ritenuto improbabile sia dagli analisti finanziari che da un recente studio del Pentagono. «Se la Cina cominciasse a scaricare bond sul mercato, provocherebbe una loro immediata svalutazione facendo crollare il valore del proprio stesso patrimonio. Non ha senso», ha spiegato recentemente Wayne Morrison, esperto finanziario del centro studi del Congresso.
Nel sottolineare l’ormai stretto intreccio economico-finanziario tra i due Paesi, il rapporto del Pentagono sottolinea anche il fatto che «la Cina ha poche opzioni alternative dove investire il grosso della valuta che accumula negli scambi commerciali con gli Usa».
Ciò non toglie che il trend dell’ultimo anno è stato di continuo, seppur molto graduale, disinvestimento. Un anno fa Pechino aveva infatti 1.280 miliardi di dollari di debito pubblico americano. Quindi, negli ultimi 12 mesi, c’è stata una diminuzione superiore al 10 per cento. Una variazione significativa che però non ha avuto un impatto sulla tenuta finanziaria degli Usa. Anche perché è corrisposta a un aumento della fetta di debito nelle mani del secondo maggiore creditore internazionale, e cioè Tokyo. E con tutta probabilità già alla fine di novembre, quando il Tesoro Usa renderà pubblici i nuovi dati obbligazionari, è probabile che il Giappone, che ad agosto aveva 1.120 miliardi di bond Usa, scavalcherà la Cina piazzandosi al primo posto.
«Il problema non sta nella nazionalità del creditore - spiega Morrison - bensì nella sostenibilità del debito». All’interno di questa problematica, c’è comunque indubbiamente l’aspetto politico dell’eccessiva dipendenza da creditori stranieri. A denunciarla già nel 2007 era stata l’allora senatrice Hillary Clinton. Che in una lettera al Segretario del Tesoro dell’epoca, l’ex amministratore delegato di Goldman Sachs Henry Paulson, e al Governatore della Federal reserve Ben Bernanke sottolineava il fatto che un forte debito contratto con investitori stranieri, soprattutto se governativi, «significa che possiamo troppo facilmente trovarci ostaggio di decisioni economiche prese a Pechino, Shanghai o Tokyo».
Queste cose la Clinton le diceva quando l’amministrazione al governo era repubblicana. Quindi con le stesse finalità politiche che oggi l’amministrazione Obama (nella quale lei stessa gioca una parte fondamentale) accusa i repubblicani di avere. Ma è chiaro che la questione è politicamente succulenta. E che chiunque voglia appellarsi allo spirito e all’onore patriottico degli elettori americani, indipendentemente dal partito di appartenenza, avrà sempre facile gioco a ricorrerci.
Ben più grave e intrattabile è però il problema sottostante, cioè il debito in sé. Se solo ci fosse la stessa sollecitudine bipartisan ad affrontarlo, gli americani potrebbero dormire sonni molto più tranquilli.