Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 07/11/2012, 7 novembre 2012
SE IL MONDO È IN CRISI LA COLPA NON È DEL MERCATO - È
ormai evidente che non è possibile raggiungere in tempi ragionevoli accordi capaci di risolvere la crisi economica che travaglia l’Europa. Quanto sta accadendo non dimostra il fallimento dell’economia di mercato, negli ultimi anni presentato come sistema in grado di creare benessere per tutti? Mi farebbe piacere conoscere la sua opinione.
Liliana Banfi, Vicenza
Cara signora, se economia di mercato significa soprattutto libera circolazione delle merci e concorrenza, dovremmo piuttosto ringraziarla per lo straordinario sviluppo degli scambi mondiali negli ultimi decenni e per la rapida diffusione di alcune grandi innovazioni tecnologiche attraverso il pianeta. Un solo esempio: non avremmo i computer di ultima generazione, gli smart phone e le «tavolette» se il cosiddetto hardware (la parte materiale del prodotto) non fosse fabbricata in Cina dove la straordinaria manualità della mano d’opera e i costi più bassi hanno permesso grandi economie di scala. La crisi ha l’effetto di offuscare i vantaggi e mettere in maggiore evidenza gli inconvenienti. Ma il bilancio resta, a mio avviso, positivo. Se attribuissimo all’economia di mercato la colpa dei nostri guai, cederemmo prima o dopo alle tentazioni del protezionismo: una politica che è almeno in parte responsabile dei conflitti della prima metà del Novecento.
Credo che le principali cause della crisi siano altri due fattori strettamente collegati. Il primo è la dissennata deregolamentazione dei mercati finanziari americani iniziata nel secondo mandato della presidenza di Bill Clinton. La Casa Bianca e il Congresso hanno favorito la nascita di un potere finanziario irresponsabile che ha stampato una nuova moneta, i derivati, e ha inondato il pianeta di carta totalmente disancorata da qualsiasi valore reale: una gigantesca piramide che è crollata sulle spalle del mondo fra il 2007 e il 2008. La frana ha coinvolto tutti, ma ha colpito in particolar modo i Paesi che negli anni precedenti avevano commesso l’errore d’interpretare l’economia sociale di mercato come una «licenza di debito» e hanno vissuto lungamente al di sopra dei propri mezzi distribuendo ai loro cittadini, per ragioni politiche ed elettorali, una ricchezza che non avevano. Quando la crisi ha creato un sentimento di generale sfiducia, i Paesi indebitati sono stati i primi a finire nel mirino della speculazione e il costo del rifinanziamento del debito è diventato intollerabilmente elevato. Poiché fare danni è molto più facile che ripararli, la ricostruzione chiederà tempo e sacrifici. Spero che alla fine del percorso non avremo sacrificato anche l’economia di mercato. L’Italia è un Paese esportatore e di tutto ha bisogno fuorché di un mondo attraversato da barriere protezionistiche.
Sergio Romano