Paolo Valentino, Corriere della Sera 07/11/2012, 7 novembre 2012
HAMBURGER E BASKET. TUTTI I RITI DI OBAMA PER PROPIZIARE LA SUA «SEONDA VOLTA» — È
stato come seguire un rituale propiziatorio. Dove le ragioni della politica si sono platonicamente conciliate con quelle della scaramanzia. Quattro anni dopo, il nuovo giorno del destino di Barack Obama ha assunto le movenze di una replica, chiaramente ispirata da un pizzico di superstizione.
Dopo la furtiva lacrima versata lunedì sera nell’ultima apparizione insieme a Michelle e Bruce Springsteen a Des Moines, in Iowa, dove tutto era cominciato in una notte di gennaio del 2008, il presidente ha accolto l’abbraccio della sua Chicago, abbandonandosi volentieri al ruolo del figlio prediletto, tornato a casa per aspettare la sentenza dell’oracolo democratico.
Obama aveva già votato la scorsa settimana. Così, la giornata è cominciata poco prima delle 9 tra le strade di casa, con una visita non annunciata nell’ufficio elettorale della sua campagna, nel cuore di Hyde Park. Vestito blu, camicia bianca, cravatta a righe bianche, azzurre e grigie, il presidente si è goduto l’applauso dei militanti, molti col volto rigato di pianto, e poi ha fatto alcune telefonate d’incoraggiamento ai volontari del Wisconsin, Stato decisivo nella combinazione vincente dell’Electoral College. «Annie? Qui è Barack Obama». Pausa, probabilmente dovuta a sorpresa e incredulità dall’altra parte del filo. «Sono Barack Obama. Sai, il presidente». Poi, dopo una risata collettiva, la conversazione è cominciata. Cinque chiamate in tutto, per ringraziare i più valorosi.
Obama si è quindi rivolto alla piccola folla che si era raccolta nella stanza. Con un messaggio imprevisto: «Voglio congratularmi con il governatore Romney per una campagna combattiva e piena di spirito. So che i suoi sostenitori sono impegnati ed entusiasti come voi e oggi stanno lavorando altrettanto duro». E ancora: «Attendo con fiducia i risultati. Mi aspetto una buona serata. Ma qualunque cosa accada, sappiate quanto apprezzo chi mi appoggia e quelli che hanno lavorato per me».
Lasciato il suo quartiere, Obama si è sottoposto a una serie di interviste radiofoniche e televisive per emittenti regionali, quasi tutte legate agli Stati in bilico. Di tutto, di più. Ha parlato della sua passione per il cibo spazzatura: «La mia debolezza sono i nacho col guacamole. Se me li mettono davanti, spariscono». Ha scherzato sui potenziali corteggiatori delle figlie: «Qualunque giovanotto abbia il coraggio di superare il Servizio Segreto, si merita di essere ascoltato». E ha lodato gli sforzi della moglie Michelle, per far si che la vita di Sasha e Malia sia il più normale possibile: «Possono andare a dormire dalle amiche, allo shopping, al cinema, alle feste della scuola».
Più seriamente, Obama ha lanciato un appello a recarsi alle urne: «Abbiamo i voti per vincere — ha detto — ma solo se i voti vanno ai seggi». Si è definito «cautamente ottimista» e ha anche sottolineato le differenze con il 2008: «Allora tutti erano eccitati, tutto era nuovo, fresco. Oggi c’è piuttosto la determinazione a portare avanti il Paese e assicurare che non ricada vittima delle politiche fallimentari del passato».
Ma i riti più attesi si sono consumati a metà giornata. Mentre la vecchia guardia dei fedelissimi (lo stratega David Axelrod, l’ex portavoce Robert Gibbs, lo speechwriter John Favreau, il consigliere Ben Rhodes e altri) mangiavano i favolosi hamburger di The Gage, proprio come avevano fatto 4 anni fa, il presidente intorno alle 13 e 30 è arrivato alla palestra dell’Attack Athletics per il più celebre e irrinunciabile talismano dei giorni in cui si vota: la partitella di basket. E che basket.
Obama è anche fin troppo competitivo e non vuole robe amatoriali. Così, ospiti d’onore sono state due leggende dei Chicago Bull, Scottie Pippen e Randy Brown. Richiamato in servizio anche Reggie Love, ex assistente personale del presidente e soprattutto ex guardia della Duke University. E poi gli amici di sempre, Marty Nesbitt, Alexis Giannoulias, Mike Ramos e il segretario all’Istruzione, Arne Duncan, anche lui ex cestista nel college basketball. Per la storia, l’unica volta che Obama e i suoi rinunciarono alla pallacanestro fu il giorno delle primarie del New Hampshire, il 9 gennaio 2008, malamente perse contro Hillary Clinton.
Per buona misura di sicurezza, viste le due tappe in Ohio e Pennsylvania aggiunte all’ultimo minuto da Mitt Romney, gli strateghi della campagna presidenziale hanno inviato ieri il vicepresidente Joe Biden a Cleveland.
Paolo Valentino