Ettore Bianchi, ItaliaOggi 06/11/2012, 6 novembre 2012
IL LUSSO IN CINA CAMBIA STRATEGIA
[Perfino i regali a funzionari e politici sono in caduta libera] –
Il mercato del lusso rallenta in Cina e le grandi maison cambiano i loro programmi in terra asiatica. Dopo un decennio di grande sviluppo, quest’anno le vendite del settore cresceranno soltanto dell’8% a quota 15 miliardi di euro, stando alle previsioni della società di consulenza Bain. Rispetto al 2011 l’incremento è pari un quarto.
Una frenata brusca, che ha diviso gli addetti ai lavori e gli osservatori. Alcuni ritengono che si tratti di una reazione normale all’euforia degli ultimi anni; altri, invece, cominciano a preoccuparsi seriamente, visto che un colosso come Burberry è stato costretto a lanciare un allarme sui conti.
A provocare questo sconvolgimento non è soltanto la crisi economica. Una parte importante la gioca anche il cambiamento in arrivo a livello politico, con la transizione in corso. Il sistema cinese prevede che i funzionari del partito comunista ricevano regali, più o meno sostanziosi, per portare avanti le pratiche burocratiche e ottenere le autorizzazioni. Un’abitudine molto radicata nella cultura locale, che però ha confini molto labili con la corruzione.
Gli oggetti preziosi, a cominciare dagli orologi del valore di migliaia di euro, sono tra i mezzi preferiti per sostenere la propria causa davanti ai rappresentanti del potere politico. Al punto che, a seconda delle marche, questi regali possono arrivare a coprire fra il 35 e il 45% del giro d’affari complessivo del lusso. Il problema è che l’attuale situazione di incertezza non si sbloccherà fino a quando non si saprà con chiarezza a chi bisognerà offrire i regali, visto il ricambio che interesserà buona parte della classe dirigente.
Un’altra questione riguarda l’improvviso balzo dello yuan nei confronti dell’euro, che ha approfondito lo scarto di prezzo tra i negozi in Cina e quelli europei. I cinesi, sempre più abituati a viaggiare all’estero, sono disincentivati a fare shopping in madrepatria. C’è chi, come Louis Vuitton, ha deciso di ritoccare all’insù di otto punti percentuali i listini a Parigi e nel resto del continente per invogliare a fare acquisti nel paese asiatico. La differenza tra i due mercati era arrivata fino al 45%.
Il rallentamento ha obbligato le aziende a rivedere i propri piani di crescita. Tra il 2008 e il 2011 le boutique in Cina erano triplicate: le 20 marche più importanti erano presenti con quasi 900 punti vendita. Ora, invece, la parola d’ordine è non correre troppo. Si sta entrando in una fase di consolidamento e riflessione strategica. Non è escluso che alcuni negozi vengano chiusi e che se ne aprano altri in luoghi più appetibili. L’obiettivo primario è recuperare redditività prima di avallare nuove aperture.
Non tutti, comunque, sono pessimisti. Leo Lui, presidente di Hermès Cina, sostiene che il mercato in questo momento è difficile, ma che si tratta di una situazione temporanea: l’anno prossimo ci sarà la ripartenza. La crescita, argomenta Lui, sarà elevata ancora per un decennio grazie alla forza dell’economia.