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 2012  novembre 07 Mercoledì calendario

IL BUON GIORNALISMO E LA CENSURA CINESE

David Barboza dirige la redazione di Shanghai del
New York Times.
Ha appena pubblicato un articolo di straordinaria importanza, che potrebbe addirittura avere conseguenze dirette sulla vostra vita. Barboza ha raccontato la corruzione dei familiari di Wen Jiabao, il primo ministro cinese. In teoria non c’è nulla di nuovo: non passa giorno senza che in qualche parte del mondo scoppi uno scandalo di corruzione che coinvolge politici, uomini di governo e loro complici all’interno del settore privato. E dire che in Cina c’è corruzione è svelare un’ovvietà. Però questo articolo, e questo scandalo, sono diversi.
Come parlare della corruzione? I reportage su scandali di questo tipo di solito suscitano molto clamore, ma in molti casi non sono ben documentati e non approdano a nulla. Le denunce che rimangono prive di conseguenze creano grande frustrazione fra i cittadini e corrompono la lotta contro la corruzione. Ma non è il caso dell’articolo di Barboza, che ha realizzato un’inchiesta giornalistica fra le più documentate e rigorose che abbia mai letto sul tema della corruzione ai massimi livelli del potere. Il giornalista del New York Times si basa su dati confermati da diverse fonti, su prove impossibili da confutare, su complesse analisi finanziarie convalidate da revisori indipendenti incaricati di garantire l’accuratezza dell’articolo, e su un lungo, arduo ed evidentemente costoso lavoro di indagine giornalistica.
È ovvio che un articolo pubblicato all’estero non farà piazza pulita della corruzione in Cina. Ma è altrettanto ovvio che i dirigenti di Pechino, che fino a questo momento si credevano protetti dal sistema politico, ora sanno che ormai l’impunità e l’invisibilità della corruzione non sono più qualcosa di garantito.
Il buon giornalismo vale… e costa. L’eccezionale articolo di Barboza non avrebbe potuto essere scritto da un blogger, o da un’organizzazione giornalistica che si limita ad «aggregare» — vale a dire a riprodurre sulla Rete — i contenuti di altri. I social network, neanche a parlarne. Per fare questo articolo ci sono voluti l’organizzazione, le risorse finanziarie e gli elevati standard professionali del
New York Times, tutte cose che hanno un costo elevato. Ma sono questi gli elementi che producono un giornalismo con un valore sociale, e a livello mondiale. Internet e le tendenze che stanno mettendo a rischio la sostenibilità finanziaria dei grandi mezzi di informazione sono per molti versi un fenomeno inarrestabile, ma articoli come quelli del New York Times dimostrano in modo eclatante quanto diventeremmo più poveri, come umanità, se scomparissero le organizzazioni capaci di produrre contenuti oggettivi, indipendenti e di alta qualità.
La Grande Muraglia cinese ormai non protegge più. Nell’antichità, la Grande Muraglia non fu in grado di impedire le periodiche invasioni dei mongoli. E oggi succede lo stesso: neanche la grande cybermuraglia che il governo di Pechino ha eretto per censurare i contenuti che viaggiano su Internet potrà impedire che i cinesi vengano a sapere delle rivelazioni fatte dal New York Times.
Il governo ha bloccato la pagina in inglese e in cinese del giornale americano e ha impedito di accedervi attraverso motori di ricerca come Google e social network come Weibo, l’equivalente cinese di Twitter. Le migliaia di censori al soldo delle autorità sono occupatissimi a monitorare e bloccare la diffusione di queste informazioni. Ma la storia è già riportata da tutti i mezzi di informazione del mondo e gira su Internet, sui social network e sulla bocca di tante persone in Cina. Tecnologie medievali come la censura fanno grande fatica a misurarsi con le tecnologie dell’informazione nell’era della globalizzazione. Sicuramente riusciranno a fare in modo che centinaia di milioni di cinesi non sappiano mai che la famiglia del loro primo ministro ha accumulato una fortuna di 2,7 miliardi di dollari, ma molti milioni di cinesi già lo sanno, e prima, da quelle parti, questo non succedeva.
Le conseguenze per voi. La Cina sta attraversando un periodo difficile: la crescita economica sta rallentando, le proteste di piazza, per rivendicazioni di ogni tipo, si moltiplicano. Domani comincerà il congresso del Partito comunista cinese, guidato dal nuovo leader Xi Jinping, che a marzo sarà nominato presidente. Il trasferimento dei poteri è stato ricco di tensioni e scontri fra fazioni rivali, che hanno visto, fra le altre cose, la defenestrazione di Bo Xilai, uno dei leader più potenti. Le rivelazioni dell’articolo del New York Times alimenteranno ulteriormente questi scontri. Per ora nulla lascia pensare che il cambio al vertice del potere possa influenzare in modo rilevante la stabilità politica della Cina. Ma se dovesse succedere l’economia cinese ne risentirebbe, e questo a sua volta aggraverebbe la crisi europea e penalizzerebbe i tanti Paesi la cui salute economica è legata a quella della seconda economia del pianeta.