Carlo Bonini e Alberto Custodero, la Repubblica 07/11/2012, 7 novembre 2012
LA DIFESA DI MANGANELLI “CON I CONTI NON CI SO FARE MA NON SONO UN IMBROGLIONE”
[Viminale, spuntano nuovi appalti sospetti] –
In una partita che le accuse del Corvo hanno reso infernale, che non contempla prigionieri e che a questo punto è diventata anche e soprattutto la sua, il capo della Polizia Antonio Manganelli rovescia il tavolo. A dimostrazione, ammesso ce ne fosse bisogno, della assoluta precarietà di un equilibrio raggiunto solo ventiquattro ore prima con le dimissioni non accolte dal ministro dell’Interno del suo vicario Nicola Izzo. E che la corsa alla sua successione è cominciata con largo anticipo sulla scadenza naturale del suo mandato. «Forse — dice ai cronisti delle agenzie di stampa che lo avvicinano durante i lavori dell’Assemblea generale dell’Interpol a Roma — ci sarà un capo della polizia più bravo di me, più adatto di me. Ma nessuno potrà dire che sono un imbroglione. Faccio questo lavoro da 38 anni e non ho mai sentito cose del genere. E di questo sono contento. Fin da ragazzo avevo una sola fissazione nella vita: fare l’investigatore. Il mio obiettivo l’ho raggiunto e sono felice. Ma noi non siamo formati per essere esperti manager nel campo della contabilità. Io quando andavo a scuola non ero bravo in matematica. Siamo modesti artigiani in questo campo. Mentre siamo bravi in altro».
“NON SONO UN CONTABILE”
Manganelli si rivolge all’opinione pubblica, evidentemente. Ma l’autodifesa della sua onorabilità e onestà, la rivendicazione della sua formazione di “sbirro” e non di “contabile”, è rivolta innanzitutto a quelli che ormai avverte, all’interno del Viminale, come avvoltoi pronti alla resa dei conti finale. Conosce l’accusa che nessuno ha il coraggio di formulare pubblicamente, ma che tiene banco nei conciliaboli al Viminale e che è arrivata all’orecchio oltre che del ministro Cancellieri, anche di Palazzo Chigi: «Il Capo non poteva non sapere. Il Capo non poteva non vedere» cosa è accaduto per anni in quella Direzione centrale per i servizi tecnico-logistici e la gestione patrimoniale. E ancora: «Il Capo è rimasto inerte quando questa storia è cominciata. Non ha voluto o potuto andare fino in fondo». Ma, nel separare la propria responsabilità e competenza da quelle di chi, per funzioni, sui contabili doveva vigilare — Nicola Izzo — Manganelli sa anche che il suo destino è ormai avvinto a quello del suo vicario. Che dunque, torna a difendere, rifiutando l’idea che sia ormai un’anatra zoppa, un vice «dimezzato».
“E SE FOSSE UN COMPLOTTO?”
Lo fa, assumendosi un rischio non da poco. Di dirsi convinto non solo della regolarità delle procedure di assegnazione delle commesse, ma anche del ruolo di vittima di Izzo, di cui indica anche gli ipotetici carnefici. «Su tutti gli atti di assegnazione degli appalti — dice — è stato chiesto a suo tempo il parere dell’Avvocatura dello Stato e degli organi giudiziari preposti. Nessuna scelta è stata fatta senza il conforto del pronunciamento di tutti gli organi che dovevano pronunciarsi». Dunque? «Dunque, forse il problema è che Izzo non è molto amato.
Perché se ci sono 20 aziende e solo una viene accontentata, 19 sono deluse. E siccome parliamo di soldi consistenti, è facile che ci siano reazioni negative». Il Corvo, insomma, non sarebbe altro che il complotto velenoso e calunnioso degli esclusi dal tavolo imbandito degli appalti. Un’affermazione che Manganelli sa di non poter oggi sostenere con il conforto di una pronuncia, sia pure preliminare della magistratura (gli accertamenti della Procura di Roma, delegati alla Squadra Mobile, sono solo agli inizi) e che, comunque, fa a pugni con quanto, allo stato, ha documentato l’indagine della Procura di Napoli. Dove Izzo è indagato per turbativa d’asta e dove sono almeno 5 gli appalti del Viminale sub iudice per un valore di 87 milioni di euro. O con il vaso di Pandora delle possibili “rivelazioni” in materia di appalti di cui sembra cominciare a esserci traccia nelle denunce pubbliche degli addetti. Di ieri, quella del sindacato “Italia Sicura”, che parla di «40 milioni di euro, in gran parte finanziati con fondi Ue, per la realizzazione di una scuola di Polizia che non ha mai funzionato (quella della polizia a cavallo di Foresta Burgos, in provincia di Sassari) e un’altra che già esiste (quella di alta formazione interforze contro il crimine organizzato di Caserta)».
O TUTTI O NESSUNO
Ma c’è di più. La difesa di Izzo da parte di Manganelli diventa, nelle sue parole, la difesa dell’intera squadra di vertice del Dipartimento. Quasi a voler avvertire chi pensasse di giocare una partita in proprio, che da questa vicenda il Dipartimento o uscirà insieme o cadrà insieme. «La mia squadra — dice — i cui uomini ho scelto per le loro qualità umane oltre che professionali deve restare compatta. Fare ciò che faceva prima e meglio di prima. Se poi la strada non conduce a un rafforzamento della vecchia squadra, ma ad un suo dimezzamento, si prenderanno altre decisioni».
L’INDAGINE INTERNA
Ma c’è di più. A dimostrazione di uno spartito che il Dipartimento sta ritagliando ad horas sotto la pressione dell’opinione pubblica, è anche la confusione e la vaghezza che continua a circondare l’inchiesta interna al Viminale che, ieri, Manganelli ha ripetuto essere stata avviata 3 mesi e mezzo fa, dopo l’arrivo dell’anonimo. Ebbene — secondo fonti qualificate dello stesso Dipartimento — soltanto ieri si è deciso che le «diverse relazioni chieste nei mesi scorsi agli uffici interessati dalla vicenda» vengano convogliate nella direzione ispettiva del prefetto Vulpiani. Ma, ancora una volta, «senza che questo significhi l’avvio di una formale procedura di ispezione ». Insomma, una cosa né carne né pesce.