Alexander Stille, la Repubblica 07/11/2012, 7 novembre 2012
USA 2012
[Questo non è più un Paese bipartisan nel web si specchia un’America di ultrà] –
UN GIORNO un parente mi ha chiesto: «Com’è che noi due, che siamo persone intelligenti e ben informate, in politica non siamo d’accordo su niente? ». La domanda mi ha toccato: sottolineava che democratici e repubblicani ormai vivono in due mondi diversi. Leggiamo giornali diversi, guardiamo tv diverse, siamo lontani anni luce e totalmente separati.
Normalmente evito discussioni politiche con parenti e amici repubblicani. A volte si impara qualcosa, ma spesso si creano dissapori e ferite e non si convince mai nessuno. Stavolta, vista la sollecitazione così gentile, abbiamo avuto una discussione cauta e pacata, senza naturalmente concludere niente. Confesso che ho dovuto reprimere il pensiero: «Non siamo d’accordo perché tu sei pazzo!». Avevo trovato sul suo tavolo un trattato che dipingeva Barack Obama come un radicale pericolosissimo, che vuole minare il sistema capitalistico da dentro, come una talpa. Obama, visto in quest’ottica, più moderato sembra, più sinistro e diabolico viene considerato.
Ma anche i liberal sono colpevoli di atti di intolleranza e demonizzazione dell’avversario (esempio: la mia tendenza di usare la parola pazzo sopra). Forse perché di solito, legami di parentela a parte, ci muoviamo in gruppi politicamente omogenei, come in tribù. Spesso i miei amici liberal parlano (anche con persone che non conoscono bene) come se nessuno minimamente intelligente potesse pensare in modo diverso. Quando c’è in visita mio suocero, repubblicano di ferro, avverto i miei amici, così che non parlino male dei conservatori. Mio suocero – laureato in Legge a Harvard e persona buonissima – ha vissuto anni duri durante l’amministrazione Bush. Gli toccava spesso sentire: «Solo un cretino potrebbe votare un deficiente come Bush!». Ma è anche vero che l’ho sentito paragonare i liberal del Massachusetts, dove vive, ai nazisti: «Sono come i tedeschi sotto Hitler, indottrinati», ha detto, e non scherzava del tutto.
Chiunque vinca le elezioni, erediterà un paese profondamente diviso, spaccato in due parti che si guardano con sospetto, spesso non riconoscendo la legittimità altrui a governare. Nel 2000 i politologi parlavano di America rossa e America blu, la mappa elettorale mostrava un paese profondamente diviso: colorati in blu le due coste e gli stati industriali del Nord e del Nordest, repubblicani - e quindi rossi - il Sud, l’Ovest e il centro del paese. In realtà, la situazione è più articolata. Gli stessi stati sono divisi, per aree geografiche, religione, razza e educazione. Le zone rurali sono (in genere) repubblicane e conservatrici, le città sono più democratiche. Nelle città universitarie di stati ultraconservatori come il Texas o la Georgia, le persone parlano esattamente come i miei amici di Manhattan. Nelle zone rurali dello stato di New York si incontrano persone che la pensano come i cittadini di Kansas e Tennessee.
L’idea che siamo più polarizzati è molto più che una sensazione di pancia. Fino agli anni settanta, i voti “bipartisan” erano molto frequenti. Ora sono quasi inesistenti. In passato, il partito repubblicano aveva molti moderati e alcuni liberal, mentre il partito democratico aveva una bella fetta di conservatori. Ora sono molto più compatti ideologicamente. Il partito repubblicano è più disciplinato, chi vota “contro” il partito viene radiato. I democratici sono meno disciplinati e hanno membri conservatori nei stati “rossi”, ma meno di un tempo.
Una parte del problema è legata all’essere umano. Se tifosi di squadre diverse guardano la stessa partita, giudicano il comportamento dell’arbitro in modi opposti.
Ognuno di noi è convinto di essere “obiettivo” e convinto che l’altra persona sia motivata dalla partigianeria. Gli psicologi lo chiamano pregiudizio della soggettività: ognuno di noi ha accesso ai propri processi mentali ed è convinto di agire con una valutazione attenta dei fatti. Mentre quando sentiamo le opinioni dei nostri avversari siamo convinti che ragionino per preconcetti. Tendiamo a scartare o minimizzare fatti che vanno contro le nostre tesi, e a privilegiare quelli che confermano il nostro punto di vista.
Ma se queste sono qualità legate alla psicologia umana, perché la polarizzazione aumenta? Uno dei motivi, secondo alcuni studiosi, è il cambiamento nel mondo dei mass-media. I media tradizionali erano generalisti e cercavano un pubblico più ampio possibile. Era antieconomico allontanare ascoltatori democratici o repubblicani. Con la tv via cavo, catturare una fetta di audience del cinque o dieci per cento era un grande successo. Si sono create tv di nicchia che parlavano con passione a gruppi limitati. È nato il fenomeno di Fox News, con liti in video e un telegiornale fortemente partigiano. Ora cerca di fare altrettanto dall’altro lato la Cnbc, con minor successo.
Il mondo della rete è fatto di nicchie dove ognuno può trovare quello che vuole e confermare le proprie idee. Studi dimostrano che quando le persone si trovano in gruppi omogenei le posizioni si radicalizzano. Discussioni che cominciano con l’esame di posizioni e programmi politici passano rapidamente a parolacce ed insulti.
Naturalmente, essendo anch’io persona di parte, finirò con una nota partigiana: credo sinceramente che negli Usa il problema sia più serio a destra che a sinistra. Negli anni Settanta e Ottanta potevo non essere d’accordo con i miei amici repubblicani, ma avevano posizioni razionali a loro favore. Si poteva sostenere che molti programmi sociali degli anni Sessanta non hanno funzionato a meraviglia. Che i regolamenti governativi o il sistema fiscale erano un freno all’economia. Che la nostra politica nei confronti dell’Urss era troppo morbida. Erano posizioni discutibili, ma che andavano discusse.
Ma quando una forte percentuale del partito crede che il presidente Obama non sia nato negli Usa (e quindi non sia un presidente), che sia socialista o musulmano, siamo nel mondo della fantasia. Alcuni studi hanno dimostrato che gli ascoltatori della Fox sono molto più propensi a credere che Saddam Hussein fosse dietro gli attacchi dell’undici settembre, che armi di distruzione di massa siano state trovate in Iraq, che la maggioranza dei paesi del mondo abbia appoggiato l’invasione dell’Iraq. È vero che un numero discreto di americani di sinistra era convinto che dietro all’attacco contro le torri gemelle ci fosse George W. Bush. Ma erano un po’ meno rispetto alle fantasie accarezzate dai repubblicani.