Corrado Poggi, Il Sole 24 Ore 6/11/2012, 6 novembre 2012
L’AUSTRALIA MULTA
S&P, «SVEGLIA» AI BIG DEL RATING - Non sarà probabilmente una delle prime questioni di cui si occuperà il vincitore della corsa alla Casa Bianca, ma di sicuro la riforma del sistema finanziario e del modus operandi delle agenzie di rating dovrà presto arrivare sul tavolo presidenziale dopo le promesse non mantenute a riguardo da Barack Obama. La revisione del settore ha assunto peraltro un’urgenza ancora più evidente nel corso delle ultime ore, alla luce delle notizie giunte dall’Australia: la corte federale di Sydney ha infatti condannato S&P a risarcire 12 amministrazioni comunali del Paese per le perdite subite su prodotti derivati (Cpdo) comprati alla fine del 2006 dietro l’assicurazione che si trattasse di strumenti a prova di bomba, con meno dell’1% di possibilità di default. Nel dispositivo della sentenza, il giudice Janet Jagot accusa S&P di condotta «ingannevole e mistificatoria» per aver valutato gli strumenti in questione con il rating di AAA, il massimo possibile. Un’agenzia di rating «ragionevolmente competente», recita la sentenza, non avrebbe mai assegnato una valutazione tanto alta a degli strumenti definiti «grottescamente complicati».
Pochi mesi dopo l’acquisto, i titoli, pur valutati triplo A, avevano iniziato ad accusare gravi perdite per poi essere ceduti nell’ottobre del 2008 a meno di un decimo del prezzo d’acquisto. In base alla decisione del tribunale, le 12 amministrazioni, che avevano investito in tutto 16 milioni, avranno ora diritto a risarcimenti e danni per circa 30 milioni di dollari australiani. S&P ha già fatto sapere che intende ricorrere in appello e ha respinto «ogni idea che le loro opinioni fossero inappropriate».
Ma per S&P, e per le altre agenzie di rating, vi è ora il rischio di ricadute a livello globale. Per la prima volta, infatti, è stato stabilito il principio della responsabilità di fronte alla legge delle agenzie di rating per i giudizi dati agli strumenti derivati, uno dei fattori scatenanti della crisi finanziaria del 2007-08. La sentenza scuote alle fondamenta quello che è stato, soprattutto negli Usa, il pilastro difensivo delle agenzie che si sono sempre appellate al Primo Emendamento, definendo quindi le loro valutazioni come opinioni senza valore vincolante. La responsabilità ultima delle perdite, dunque, rimaneva a loro dire sulle spalle di chi aveva investito il proprio denaro sulla base di una propria decisione autonoma.