Paolo Biondani; Luca Piana, l’Espresso 26/10/2012, 26 ottobre 2012
IN UN COMPUTER I SEGRETI DEI TULLIANI
Nella saga miliardaria del re del gioco d’azzardo spunta un altro computer dei misteri. All’interno di un hard disk di Francesco Corallo, il padrone del colosso delle slot Atlantis-Betplus che è ricercato da maggio per corruzione, sono nascosti documenti finora sconosciuti, che riguardano presunti affari segreti di Giancarlo Tulliani e di sua sorella Elisabetta, l’attuale compagna del presidente della Camera, Giancarlo Fini. Si tratta di carte che fanno ipotizzare agli inquirenti l’esistenza di «rapporti economici» (così li definiscono tutte le fonti) tra i due fratelli e almeno una delle ricchissime società dell’imprenditore di origine catanese trapiantato ai Caraibi, che ha accumulato una fortuna con le licenze per i videopoker, concesse a partire dal 2004 dai Monopoli di Stato.
Il computer in questione è stato sequestrato dalla magistratura durante la rocambolesca perquisizione del 10 novembre 2011 nella casa di Corallo, in piazza di Spagna a Roma. Quella che fu vivacizzata dalla sottrazione di un portatile, effettuata dal deputato del Pdl Amedeo Laboccetta, già a libro paga di Corallo come manager di Atlantis per l’Italia: l’onorevole è indagato per favoreggiamento, dopo la scoperta che il portatile da lui trafugato è stato manomesso e che non apparteneva a lui ma proprio a Corallo. Il computer fisso del titolare del gruppo Atlantis-Betplus invece è stato sequestrato senza difficoltà fin dal 10 novembre. Ma Corallo, oggi latitante, resta l’unico a poter utilizzare le carte sui Tulliani e a decidere se e quando sia conveniente divulgarle. I magistrati di Milano ritengono infatti che l’esame di quei «rapporti economici» rimasti memorizzati nel disco fisso non rientri nell’ambito della loro indagine. Mentre i pm di Roma che si occuparono di Giancarlo Tulliani, come affittuario del famoso appartamento di Montecarlo che fu venduto nel 2008 dal tesoriere di An a un’anonima società offshore dell’isola di Saint Lucia, rappresentata dallo stesso fiduciario di Corallo, hanno dichiarato anche in questi giorni di considerare «penalmente irrilevante» qualsiasi nuovo documento dovesse essere scoperto sulle proprietà, società estere e affari privati del fratello di lady Fini.
Gli inquirenti sono consapevoli che l’esistenza di documenti riservati su possibili incroci economici tra Corallo e i Tulliani potrebbe avere un’indubbia rilevanza politica, ma a Milano i magistrati non indagano sui Tulliani. L’inchiesta riguarda presunte tangenti pagate da Corallo per ottenere finanziamenti per 148 milioni di euro dalla Banca Popolare di Milano. La prova principale è un manoscritto sequestrato nell’ufficio dell’ex presidente della Bpm, Massimo Ponzellini, agli arresti da maggio, che aveva annotato (sotto l’intestazione "Atlantis contratto") di aver già «ricevuto» 465 mila euro, tra dicembre 2010 e febbraio 2011, e di aspettarsi altre «centomila sterline per mese», fino a un totale di 870 mila euro. Il tutto in cambio dell’assistenza del banchiere nella «presentazione di pratiche di finanziamento» e in una strana «trattativa privata con authority italiane e internazionali».
I documenti pubblicati la scorsa settimana da "l’Espresso" (tra cui il modulo per l’apertura di un conto off-shore di una società di Giancarlo e due fax spediti all’estero nel 2008 con il passaporto suo e di Elisabetta) sono stati evidenziati dalla Guardia di Finanza e inseriti dai magistrati tra gli atti rilevanti non perché riguardassero i Tulliani, ma perché erano stati trasmessi da Corallo a James Walfenzao: il fiduciario con uffici ai Caraibi e a Montecarlo che è il rappresentante formale delle società anonime collocate al vertice del suo impero economico.
A Roma invece, dove l’inchiesta era nata da una denuncia per la vendita della casa di Montecarlo a un prezzo basso, il giudice ha deciso già nel 2011 di archiviare tutto, assolvendo con formula piena il presidente della Camera. Nelle motivazioni, i magistrati si guardano bene dal pronunciarsi sull’autenticità delle carte allora disponibili, diffuse dal faccendiereValter Lavitola. Limitandosi a spiegare che i partiti sono associazioni private non riconosciute, per cui Alleanza nazionale era libera di disporre del proprio patrimonio come meglio credeva. Di conseguenza, conclude la motivazione dei giudici romani, anche se si provasse che dietro le off-shore di Saint Lucia c’era davvero Tulliani, l’inchiesta sarebbe comunque da archiviare. Ecco perché, dopo le notizie sulla società off-shore del fratello di Elisabetta, Fini ha detto di provare «profonda amarezza per comportamenti che non condivido. Ma questo è un aspetto solo personale. Non ho mai mentito agli italiani e per questo continuerò il mio impegno politico a testa alta».
A Milano i nuovi documenti sui Tulliani trovati nel computer di Corallo sono stati regolarmente esaminati dalla Guardia di Finanza, ma non hanno portato i pm a ipotizzare nuovi eventuali reati, perché riguardano «normali rapporti economici», da ritenere leciti fino a prova contraria. E la circostanza che finora si ignorasse l’esistenza di legami d’affari tra le società dei Corallo e i Tulliani rappresenta solo l’ennesima conferma dei fortissimi agganci tra il gruppo Atlantis e il mondo politico. Il vero problema, per i magistrati milanesi, è capire come sia stato possibile che i Monopoli di Stato, a partire dal 2004, concedessero licenze pubbliche per il business miliardario dei giochi d’azzardo (e la Banca Popolare di Milano elargisse finanziamenti milionari con procedure anomale) a un gruppo controllato da società off-shore con base in paradisi fiscali dei Caraibi inseriti nelle black list internazionali: una società anonima di Saint Lucia e una fiduciaria-schermo delle Isole Vergini.
La prova che l’impero di Corallo è cresciuto sull’intreccio tra affari e politica arriva da altri documenti. In una cartellina intestata a Laboccetta, sequestrata a casa di Corallo, è spuntato ad esempio il verbale di una verifica fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza di Roma, il 3 marzo 2009, a carico di Atlantis. Le Fiamme gialle segnalano che da tre conti italiani della società di Corallo, tra il 2004 e il 2006, sono partiti «bonifici di rilevante importo verso l’estero» per un totale di quasi 100 milioni di euro.
Il 12 gennaio 2005, ad esempio, dal conto di Atlantis alla Mps di Roma escono due bonifici in un giorno: il primo da 51 milioni di euro, il secondo per altri cinque. In febbraio il gruppo trasferisce all’estero altri 17 milioni in una settimana. La Gdf registra un totale di 26 bonifici internazionali, sempre per cifre «notevoli», tutti giustificati dalle stesse causali che però gli ispettori ritengono«non riscontrate» nella contabilità esaminata: «pagamento di royalties a soggetti stranieri», oppure «giroconto su conto di nominativo diverso», o ancora «pagamento diversi - rilevazione». Sulla copia del verbale sequestrata a Corallo nella cartellina «on. Laboccetta» compaiono annotazioni a mano, che sembrano scritte sotto dettatura proprio per giustificare quei bonifici: «Rimesse casa madre» e «gestione finanziaria». Le spiegazioni fornite da Atlantis però non convincono la Guardia di Finanza, che ha denunciato il problema all’amministrazione fiscale. In teoria c’era il rischio di una maxi-indagine per elusione: la struttura societaria e le royalties pagate alle controllanti estere sembrano costruite apposta per ridurre il prelievo del fisco in Italia, dove il gruppo Atlantis opera con quella che nel gergo tributario si chiama una stabile organizzazione. E i profitti sono soggetti, in teoria, a normale tassazione, come se il gruppo fosse a tutti gli effetti italiano. Secondo una fonte vicina ad Atlantis, la procedura si sarebbe chiusa con una «lieve sanzione», una cifra inferiore a 100 mila euro, che il gruppo di Corallo avrebbe contestato.
Al di là degli aspetti fiscali, altri documenti sequestrati a casa di Corallo (e giudicati penalmente rilevanti dai pm milanesi) fanno emergere altre due importanti questioni. La prima riguarda alcune fatture sospette, piuttosto recenti, che hanno comportato uscite per centinaia di migliaia di dollari dai conti di Atlantis. La seconda questione riguarda invece il ruolo di primo piano che, nel gruppo di Corallo, hanno svolto persone vicine ad An.
Le fatture sospette sono cinque. Le prime tre riportano la stessa data, il 3 novembre 2011, lo stesso importo di 225 mila 990 dollari, un medesimo fornitore, una società con sede a Santo Domingo. Hanno però tre motivazioni diverse, un’anomalia che, scrivono gli investigatori, «fa sorgere seri dubbi circa la veridicità di tali documenti, che potrebbero essere stati redatti presso la sede romana di Bplus». Le altre due fatture risultano invece emesse nella primavera 2010 da una società delle Antille Olandesi, la prima di 140 mila e la seconda di 73 mila dollari. Il primo dei due documenti, tuttavia, presenta una «singolare coincidenza»: riporta lo stesso numero di una delle tre fatture sospette del 2011.
Il secondo aspetto rilevante è, invece, il ruolo che all’interno di Atlantis persone legate ad An svolgono fin dalla nascita del gruppo. Uno di loro è proprio Laboccetta. «Non mi sono mai occupato di società all’estero», ha detto il deputato al "Corriere della Sera" di venerdì 19 ottobre, dopo le rivelazioni su Giancarlo Tulliani. Una verità, la sua, smentita dai documenti sequestrati a Corallo. «Caro Amedeo, avrei bisogno che tu ordinassi un bonifico di 4.250.000 dollari sul nostro conto di Londra», gli scrive ad esempio il direttore generale della capogruppo di St. Marteen, Rudolf Baetsen. Denari che arrivavano dai clienti italiani di Atlantis. E che, dai Caraibi, decidevano di trasferire oltreconfine.