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 2012  novembre 06 Martedì calendario

LA CRUSCA: QUATTRO SECOLI IN DIFESA DELL’IDENTITA’ ITALIANA

Si festeggiano, oggi e domani, i quattrocento anni del Vocabolario della Crusca (1612). Non è una data qualsiasi. A quell’altezza, nessuna delle grandi lingue moderne aveva un vocabolario in cui fosse depositato l’assieme delle parole e dei modi di dire che costituiscono ciascuna lingua. E l’italiano stesso era in verità piuttosto giovane, dato che solo nella prima metà del Cinquecento, a opera di Pietro Bembo nel ruolo di teorico, di Ludovico Ariosto (e del Sannazaro) nel ruolo di «utilizzatori finali», si era generalizzato e regolato l’uso dell’idioma toscano letterario. A meno di un secolo di distanza, quest’idioma era ormai riconosciuto, anche se non ufficialmente, come lingua nazionale: mancava infatti una nazione cui rapportare la lingua usata dai dotti e dagli alfabetizzati dei vari stati e staterelli in cui era frazionata l’Italia.
Ma che cos’è un vocabolario, o dizionario? Oggi lo sappiamo tutti, e sappiamo come lo si usa. Sappiamo che di ogni lemma il vocabolario illustra il significato, o i vari significati; che le reggenze di parole e verbi sono indicate nel seguito della voce, e così via. Ma tutto questo dovettero inventarselo gli accademici della Crusca, che tra l’altro collaboravano all’opera gratis, per puro amore della lingua. E non erano solo filologi, ma anche scienziati e artisti, che s’improvvisarono lessicografi, con successo. I vocabolari d’oggi, nella sostanza, non sono diversi da quello della Crusca. E lo stesso si può dire per i vocabolari delle lingue europee, che seguirono il nostro a molta distanza: per il francese, quello dell’Académie (1694), e per lo spagnolo, quello della Real Academia (1726-1739), per l’inglese, quello di Samuel Johnson (1787), e così via.
Perché questa priorità italiana? Tra i molti motivi si potrebbe indicare lo sviluppo, da noi, degli studi filologici e la vivacità della «questione della lingua», che accompagnò e animò l’affermazione del toscano come base della lingua italiana. Ma il motivo principale è il fatto che nella metà del Trecento erano già apparsi i capolavori di Dante, Petrarca e Boccaccio, testimoni della nascita di una grande lingua letteraria. Era ovvio cercare di coglierne il sistema linguistico e soprattutto lessicale. C’è poi un fatto significativo. La prima edizione del Vocabolario fu pubblicata a Venezia: quasi la conferma ufficiale di un asse linguistico Firenze-Venezia, che nei fatti si era già realizzato, dato che gli attivissimi tipografi veneziani avevano per primi eliminato dalle loro stampe i tratti dialettali che invece restano vistosi nei volumi pubblicati altrove.
L’Accademia della Crusca celebra l’anniversario nella splendida Villa Medicea di Castello. Lo festeggia anzi, dato che alle relazioni si mescolano uno spettacolo sulla vita di Dante e un concerto di musica barocca. Ma per il resto si tratta di importanti relazioni dedicate agli altri vocabolari «cadetti» su quella che viene chiamata «la piazza virtuale della Crusca», insomma sul prezioso e sempre aggiornato tesoro lessicografico che l’Opera del Vocabolario continua a raccogliere, nonché sui modi di compilare un vocabolario, in un quadro ben consapevole dei problemi del multilinguismo, tra i più urgenti d’oggi. I relatori sono tutti di alto livello: solo fra gli stranieri, citeremo Eva Buchi, Wolfgang Klein, José Antonio Pascual, Francisco Rico, John Simpson, Harro Stammerjohann, Edward F. Tuttle. Una varietà d’interventi in cui s’intravvede la feconda dialettica tra esemplarità e produttività dei vocabolari, tra sincronia e diacronia, tra lingua e lingua. Perché se un vocabolario appare come la registrazione dei tesori di una lingua, il suo utente deve essere consapevole che molti di quei tesori cadranno in disuso, sostituiti da altri, nuovi, in una creazione continua. Le cinque successive edizioni del Vocabolario seicentesco lo mostrano bene.
Cesare Segre