Luigi Offeddu, Corriere della Sera 06/11/2012, 6 novembre 2012
«ATENE NON PAGA, NIENTE MEDICINE» —
Nel 1668, quando comprò la «Farmacia dell’Angelo» a Darmstadt in Germania, Friedrich Jacob Merck non immaginava certo che cosa sarebbe diventata: il più antico colosso farmaceutico al mondo, uno dei più potenti e il secondo negli Usa, oltre 40 mila dipendenti in 67 diverse nazioni, ricavi per 2,8 miliardi di euro nei primi 6 mesi di quest’anno, l’11,6% in più rispetto all’anno precedente. E una missione ufficialmente dichiarata: «Migliorare sempre di più la qualità della vita umana». In quei 67 Paesi e altrove. Ma forse non in Grecia, protesta qualcuno ad Atene: perché da ieri la Merck non fornisce più agli ospedali pubblici greci il suo più importante farmaco anti-tumorale. Motivo: troppi pagamenti in ritardo o sospesi, per via della crisi economica. E troppi crediti nei confronti della sanità greca — ma questa non è certo la spiegazione ufficiale — convertiti in titoli di Stato ellenici, poi deprezzatisi con l’aggravarsi della situazione generale (solo la consociata Merck Serono avrebbe accettato, in pagamento dei farmaci, bond per 56 milioni di euro).
Il medicinale che viene negato ora agli ospedali si chiama commercialmente Erbitux (principio attivo, il «cetuximab»), è il secondo prodotto più venduto della Merck, risulta prescritto soprattutto per i tumori colon-rettali o per quelli della testa e del collo. Nel 2011, le sue vendite nei vari Paesi hanno toccato gli 855 milioni di euro. Gli ammalati greci potranno sempre acquistarlo in farmacia, è stato fatto sapere: ma in ospedale, come si può intuire, dovrebbe essere meno costoso e più facilmente disponibile.
Sempre in queste ore, la Merck Serono ha annunciato che investirà ogni anno un milione di euro per premiare le ricerche più innovative nel campo della sclerosi multipla. Ma il problema greco è tutt’altra cosa, e resta. Non è la prima volta che la crisi incide sui costi della salute e su uno degli aspetti più angosciosi della vita umana, la lotta a un tumore. È già accaduto fin dall’anno scorso, con altre case farmaceutiche, sempre in Grecia e in altri Paesi. Ed è stato già detto che potrebbe accadere ancora, anche in nazioni come l’Italia. La Roche, per esempio, ha sospeso le forniture a credito a 23 ospedali pubblici portoghesi, appellandosi al fatto che avevano accumulato debiti per 135 milioni di euro, e che ritardavano ormai i pagamenti anche per più di 420 giorni. E proprio l’altro ieri, da Bruxelles, la Federazione delle imprese farmaceutiche in Europa ha indirizzato una lettera al governo greco, offrendogli una sorta di «sanatoria», cioè un tetto ai pagamenti dovuti, e chiedendo però che non si accumulino in futuro altri debiti: continueremo a fornirvi le medicine, questo il senso del messaggio, purché d’ora in poi onoriate gli impegni e mettiate ordine nei vostri conti. Ma la stessa Federazione ricorda anche che le aziende farmaceutiche hanno già concesso circa sette miliardi di euro in sconti e rateizzazioni, non solo alla Grecia ma anche alla Spagna, o all’Italia. E anche qui c’è un messaggio, neppure tanto cifrato: qualcosa come «la nostra parte l’abbiamo fatta, non siamo vampiri». Del resto, il rischio sovrano — quello che un governo fallisca per i suoi debiti — è diventato un fattore importante anche per le case farmaceutiche internazionali: non se ne parla molto ma c’è e si fa sentire, come spiegano all’«Ihs Global Insight», un centro-studi che analizza proprio i livelli di rischio economico, finanziario e commerciale in oltre 200 nazioni. La stessa Merck può essere un esempio: ha risentito della crisi europea e nonostante le buone notizie sui ricavi, ha annunciato massicci tagli entro il 2015, fino al 10% della sua forza lavoro in Germania.
La polemica continua: forse, non c’è risposta al dilemma fra i legittimi diritti dell’impresa, anche quelli commerciali, e l’altrettanto legittimo — oltre che lacerante — diritto dell’individuo alla salute, a un’esistenza dignitosa. Ma quello della Merck è un caso particolare, che può avere per qualcuno — giusto o no che sia — anche una valenza simbolica: perché la testa o il cuore dell’azienda stanno ancora a Darmstadt in Germania, nella nazione governata da Angela Merkel. La Germania: il Paese che più ha sostenuto le misure di austerità per Atene, quello che più alza la voce nella Trojka, la commissione mista Ue-Fondo monetario-Banca centrale europea che reclama altri tagli immediati al bilancio greco, anche e soprattutto al bilancio sanitario. E Angela Merkel, poi: la cancelliera che solo pochi giorni fa è stata accolta da fischi e qualche bottigliata nel centro di Atene, fra lo sventolare beffardo di bandiere con la svastica, la leader straniera che almeno una parte dell’opinione pubblica greca considera responsabile delle proprie angosce. Da domani, al Parlamento si vota di nuovo sulle riforme dell’austerità, il governo scricchiolante e diviso si gioca tutto: la vicenda della Merck non aiuterà forse a vedere le cose più razionalmente.
Neanche questo, avrebbe mai potuto immaginare Friedrich Jakob Merck, quando decise di investire i suoi talleri d’argento nella «Farmacia dell’Angelo».
Luigi Offeddu