Salvo Palazzolo, la Repubblica 06/11/2012, 6 novembre 2012
LA TRATTATIVA STATO-COSA NOSTRA FINÌ CON LE GARANZIE DI BERLUSCONI" [I
pm di Palermo: Scalfaro cedette sul carcere duro] –
In gioco non c´era solo la revoca del carcere duro: nella drammatica stagione delle bombe del ‘92-´93 i capi di Cosa nostra puntavano a un «nuovo patto di convivenza Stato-mafia per traghettare dalla prima alla seconda Repubblica», cercavano soprattutto «nuovi referenti politici». E nel ‘94 li avrebbero trovati, ne è convinto il pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia: «Il lungo iter di una travagliata trattativa trovò finalmente il suo approdo nelle garanzie assicurate dal duo Dell´Utri-Berlusconi, come emerge dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori Spatuzza, Brusca e Giuffrè». Così viene riassunto nella memoria inviata dalla Procura di Palermo al gip Piergiorgio Morosini, che nelle prossime settimane dovrà decidere sul rinvio a giudizio di dodici imputati, fra boss e uomini delle istituzioni.
In 27 pagine c´è la storia di un´inchiesta durata quattro anni, che oggi chiama in causa anche l´allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, un ex capo della polizia e un ex vice direttore del dipartimento dell´amministrazione penitenziaria, tutti non più in vita. Così scrivono i pm Di Matteo, Sava, Del Bene e Tartaglia: «Vincenzo Parisi e Francesco Di Maggio, agendo entrambi in stretto rapporto con il presidente Scalfaro, contribuirono al deprecabile cedimento sul tema del carcere duro».
UN´AMNESIA DURATA VENT´ANNI
La Procura denuncia «i tanti, troppi depistaggi e reticenze spesso di fonte istituzionale» che hanno ostacolato la ricerca della verità sulla «scellerata trattativa». E accusa: «Non si è del tutto rimossa quella forma di grave amnesia collettiva della maggior parte dei responsabili politico-istituzionali dell´epoca, un´amnesia durata vent´anni». Qualche «testimone eccellente», alla fine, è arrivato: «Ma solo dopo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino», ricordano i pm. Così, nell´inchiesta sulla trattativa il figlio dell´ex sindaco di Palermo si guadagna il positivo giudizio di «testimone privilegiato dei fatti», nonostante sia imputato di calunnia, e per questo definito anche «fonte di prova dalla controversa attendibilità intrinseca».
UN NUOVO PATTO
Sullo sfondo dell´inchiesta, i pm tratteggiano un quadro storico ben preciso: la crisi economica, il crollo del muro di Berlino, Tangentopoli. «È in questo contesto - scrivono - che va inserita la strategia di alleanze che Cosa nostra organizzò in quella nebulosa fase di transizione e concepì il piano destabilizzante del quadro politico nazionale, iniziato con l´omicidio di Salvo Lima». I magistrati spiegano: «Quel piano sfociò nella logica della trattativa per costruire un nuovo patto di convivenza fra Stato e mafia».
UOMINI POLITICI CERNIERA
Eccoli, gli uomini della trattativa oggi imputati. I pm chiamano l´ex ministro Calogero Mannino e il senatore Marcello Dell´Utri «gli uomini politici-cerniera, le cinghie di trasmissione delle minacce mafiose». L´ultima minaccia di nuove bombe sarebbe stata rivolta all´allora presidente del Consiglio Berlusconi appena insediato, nel ‘94: «Tramite Vittorio Mangano e Dell´Utri», spiega la memoria: «Fu l´ultimo messaggio intimidatorio prima della stipula definitiva del patto politico-mafioso». Parole che sembrano riaprire il capitolo giudiziario della nascita di Forza Italia.
Degli ex ministri Nicola Mancino e Giovanni Conso i pm dicono invece: «Si è acquisita la prova di una grave e consapevole reticenza».
CHI SI E’ OPPOSTO
Ma questa non è solo la storia di uomini dello Stato sul banco degli imputati. Nel suo ultimo giorno da pm a Palermo, prima di partire per il Guatemala, Ingoria scrive: «Chi condusse la trattativa fece un´attenta valutazione. Il ministro dell´Interno in carica Vincenzo Scotti era ritenuto un potenziale ostacolo, mentre Mancino veniva ritenuto più utile in quanto considerato più facilmente influenzabile». Anche l´ex guardasigilli Claudio Martelli «viene percepito come un ostacolo alla trattativa, e finisce per essere politicamente eliminato». Così, dopo la morte di Giovanni Falcone, «irrompe sulla scena una male intesa (e perciò mai dichiarata) ragion di Stato», è questa la conclusione dei pm di Palermo: «E venne fornita apparente legittimazione alla trattativa».