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 2012  novembre 06 Martedì calendario

QUELLI CHE "TENGONO TUTTO" LA SINDROME DELL´ACCUMULO

C´è un romanzo scientifico di 270 pagine, si intitola Tengo tutto, è stato scritto da due clinici americani, Randy O. Frost e Gail Steketee, e illustra il disturbo del decennio: il bisogno d´accumulo, l´incapacità di buttare via. Giornali, riviste, libri, biglietti dell´autobus. E non solo.
Poi lattine, ombrelli, tubi, scatole, sacchetti di plastica, fornelli, vecchie scarpe che non si sa mai, vasetti di yogurt finiti, tovaglioli usati, pezzi di automobili e di passeggini, pietre e conchiglie, set di molle, parti di carrozze, cavalletti per tagliare la legna e tavolozze per la pittura. C´è chi ha portato dentro casa quattordici pianoforti a coda senza averli mai suonati e pure una Ford modello T. «Tengo tutto è un racconto per immagini su chi porta ogni cosa in salotto», spiega chi l´ha tradotto. Inizia come un film horror, il capitolo sui fratelli Collyer, e finisce come un manuale consolatorio: si può guarire, anche perché tutti siamo accumulatori. Basta dare meno importanza alle cose e affidarsi alla cultura emergente del riciclo (pubblico, non privato).
Lettere d´amore e mail fulminanti, pagelle delle scuole elementari e i primi cento numeri di "Zagor lo spirito con la scure" sono accumuli in bilico tra il sentimento del ricordo e il piccolo collezionismo, alimentati dal timore di perdere memoria e quindi pezzi di sé. Ma quando smettiamo di possedere oggetti e iniziamo a esserne posseduti? Andy Warhol, inventore della pop art, trasformatore del banale in arte, nei Settanta e Ottanta frequentava assiduamente i mercatini delle pulci e conservava ogni cianfrusaglia di cui entrava in possesso: la sua casa newyorkese a cinque piani era così stipata che lui poteva vivere solo in due stanze. A lato della scrivania Warhol teneva una scatola di cartone e, quando l´impulso lo colpiva, la ripuliva gettando tutto senza distinzione: francobolli di valore, contante, torsoli di mela, una bolletta elettrica. Era la sua "capsula del tempo", la datava e immagazzinava: dava il senso di ciò che in quell´istante, e quindi in quella fase storica, era oggetto quotidiano, quindi cultura. Warhol ha realizzato più di seicento capsule del tempo.
Mister Ralph, uno degli uomini incontrati nelle sedute collettive dagli esperti Frost e Steketee, per colpa degli oggetti recuperati nelle discariche la sua unica casa l´ha quasi persa. Si può vivere la sindrome da accumulo da virtuoso miliardario o da vittima degli ufficiali giudiziari. I disturbati, malati di disposofobia per la precisione, il cinque per cento della popolazione mondiale, rinchiudono i propri familiari in spazi sempre più angusti, li fanno spostare dentro corridoi larghi trenta centimetri, sentieri per capre, e poi li perdono (i familiari). Tutti noi, mediocri accumulatori, nelle regioni subcorticali del cervello teniamo a bada la tendenza ad ammassare con la capacità di programmazione, il disposofobico impila senza ricevere vantaggi e pagando costi altissimi. «Sono persone di intelligenza superiore alla media», raccontano Frost e Steketee.
Questa società fino a ieri ossessionata dagli averi (l´ipercrisi sta cambiando nuovamente i riferimenti) ha iniziato a studiare la sindrome d´accumulo focalizzando una storia da Anni Quaranta: i fratelli Collyer, Homer e Langly. Morirono nella loro villa in arenaria di Harlem sepolti da 170 tonnellate di oggetti che nel tempo erano diventati piloni portanti dell´edificio. La sindrome di Collyer in Russia diventa la malattia di Plyushkin, grazie al racconto di Gogol. Sherlock Holmes era un disposofobico, «incapace di distruggere un documento, li accumulava alle pareti». Già, «senza queste cose non sono nulla». Metà dei sopravvissuti del World trade center hanno speso tempo per raccogliere i propri averi prima di scappare, anche se le torri tremavano sotto i loro piedi.