Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 06 Martedì calendario

LA FAIDA FAMILIARE FINITA ALLE CAYMAN

«Vin sincero, svaghi onesti, la famegia, i tosi, i veci, fede in Dio, mutuo rispetto, lavorar con atension, in dignità».
Gaetano Marzotto, autore dell´utopia della Città sociale, descritto da Guido Piovene come un uomo dall´aspetto burbero, ma dalle «maniere e dalle intenzioni bonarie», riassumeva in questo quadretto familiare i semplici principi del capitalismo che egli incarnava nelle operose valli vicentine. Oggi, redivivo, assisterebbe al precipitare delle ultime macerie di quel capitalismo di stampo ottocentesco, sotto i picconi e le miserie dei "veci" e dei "tosi" della sua famelica e litigiosa progenie.
«Valdagno deve allo Stato soltanto il sale e i sigari, tutto il resto alla mia gente glielo do io», amava dire. Casa, servizi sociali, previdenza. Ora i suoi eredi, secondo l´inchiesta della Procura di Milano, devono allo Stato non sale e sigari, ma decine di milioni di tasse evase, per recuperare i quali la Guardia di Finanza è sguinzagliata in mezza Italia alla ricerca di conti correnti, ville, terreni, appartamenti e partecipazioni azionarie da sequestrare. Per molti di loro si tratta di residenze principesche e di stili di vita sfarzosi.
La saga del capitalista dal volto umano, tra realtà, leggenda e buoni sentimenti, dell´uomo che creò il Villaggio Margherita, struttura residenziale per gli operai nell´utopico lembo veneto della pellagra intitolata alla moglie che era nipote del senatore Fedele Lampertico, antico leader del liberalismo cattolico, finisce così dopo un secolo in una faida, tra società esterovestite, elusioni, evasioni, ma soprattutto in una guerra senza pietà tra parenti serpenti.
Altro che la Città Armonia vagheggiata dal capostipite. E´ l´ineluttabile maledizione della sindrome dei Buddenbrook, che ha colpito il capitalismo in Europa e tardivamente in Italia. La diaspora dei diciotto nipoti Rothschild, quella dei quaranta eredi Taittinger, poi gli Agnelli in Italia, con Margherita contro la madre Marella e il figlio Jaki.
Giunti alla quinta o sesta sesta generazione anche i Marzotto si sono "atomizzati". Le cose avevano più o meno funzionato finché il comando era stato lasciato al conte Pietro, uno dei figli di Gaetano, fin da quando quattro dei suoi fratelli si dedicavano soprattutto a gareggiare in Ferrari e a condurre vite principesche. Poi Pietro lasciò e interpellato da noi ieri sera ci ha detto di essere un pensionato lietamente fuori dalla faida e da tutto, di aver appreso dalla radio la notizia dell´inchiesta e del sequestro dei beni dei suoi familiari. Cresciuti gli eredi, archiviato Pietro, sono esplosi i conflitti, inevitabili quando si arriva alla quinta o alla sesta generazione. La famiglia trasfigura in un concetto vago, diventa una sorta di litigiosa confederazione di famiglie. Di cui oggi è persino difficile tracciare un albero genealogico. Quanti sono gli attuali Marzotto? Quaranta o cinquanta? Vittorio Emanuele, Ita, Umberto, Giannino, Paolo, Laura, Gaetano, Luca, Stefano Nicolò, Matteo...
Boh.
I quaranta litigano apertamente e selvaggiamente fin dall´Opa di Valentino Fashion Group dell´estate 2007, quando una parte delle famiglia Marzotto e Donà delle Rose ha venduto e un´altra parte, Luca e Gaetano, ha reinvestito insieme al fondo Permira. I quattro figli di Umberto e Marta Marzotto (Matteo, Vittorio, Diamante e Paola) hanno litigato con la matrigna Gemma, seconda moglie di Umberto, secondo la quale i figliastri avrebbero distratto parte della legittima. Matteo, Vittorio e Diamante avrebbero comprato a poco prezzo dal padre le azioni di Valentino, le avrebbero conferite a una società lussemburghese, vendute a Permira e eluso la plusvalenza al fisco italiano.
Ma per non perderci in un dedalo inestricabile di parentele ed evitare il mal di testa, preferiamo fermarci qui. L´unica cosa certa è che l´inchiesta milanese, su input della "spiata" familiare all´Agenzia delle entrate, nasce dalla faida interna, a riprova che il teorema "Affetti & Affari" non funziona mai, perché è impossibile coniugare "coesione sentimentale" - se c´è - e business.
Una volta a regolare le faide del capitalismo familiare, assai poco virtuoso, c´era Enrico Cuccia, titolare del presunto salotto buono dell´industria e della finanza italica, stratega di alleanze e dominus di cabine di regia. Per carità, non era il migliore dei mondi, anzi era una congrega asfittica di debolezze che si sostenevano in qualche modo per non affondare nelle loro scarse virtù. Ma oggi, nel polverone di un paese in crisi economica, politica ed etica non ci sono più stanze di compensazione di nessun genere. Quel poco che resta di un capitalismo vile e parassitario finisce di avvitarsi nel declino.
Gli ultimi antichi blasoni si decompongono in un tripudio di interessi personali, di arricchimenti indebiti, di povertà culturali.
Schumpeter chi? L´imprenditore dominus, talvolta illuminato, raramente ha abitato in questo paese. Tantomeno oggi, quando, archiviate le famiglie, nessun nuovo modello si profila nelle acque stagnanti di un´economia alla deriva.
La faida dei Marzotto e l´inchiesta milanese archiviano di fatto l´ultima storia epica del capitalismo italiano, che nell´Ottocento contribuì alla prima modernizzazione del Paese. Fondata nel 1836, trent´anni dopo la Marzotto disponeva già di una società di mutuo soccorso tra gli operai, che fu presieduta da Giuseppe Garibaldi.
Quando il leader comunista della Cgil Giuseppe Di Vittorio molti anni dopo si complimentò poi pubblicamente per la sua azione sociale, Gaetano commentò: «Di Vittorio è un brav´uomo, ma non un rivoluzionario. Lo sono molto di più io di lui e di tutti i comunisti messi insieme».
Una storia, da depurare di retorica, ma che finisce ingloriosamente tra avidità e ingordigia di un capitalismo estinto.