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 2012  novembre 05 Lunedì calendario

Notizie tratte da: Daniele Marchesini, L’Italia a quattro ruote – Storia dell’utilitaria, Il Mulino 2012

Notizie tratte da: Daniele Marchesini, L’Italia a quattro ruote – Storia dell’utilitaria, Il Mulino 2012.

Sgocciatore Francesco Billi

(vedi anche biblioteca in scheda
e libro in gocce in scheda 2233937)

Un miliardo circa il numero di macchine costruite nel Novecento.

Nel 1905, dopo 19 anni l’invenzione del motore a scoppio da parte di Karl Benz e Gotlib Daimler, la francese Darracq V8 (25.422 centimetri cubici per 1400 chili) tocca 176,420 chilometri orari.

L’auto che si impone negli Stati Uniti è la Ford T. Il prezzo da 850 iniziali in pochi anni scende a meno di 300 dollari. Dal 1914, nel nuovo impianto a Detroit, può essere assemblata in 93 minuti. Sino al 1927 ne vengono fabbricate oltre 15 milioni. Pubblicità dell’epoca: «La T è disponibile in qualsiasi colore purché nero».

«Un italiano non passeggia mai se può guidare, per lui è un mistero inspiegabile come il passeggio possa essere piacevole. Un appunto mi è stato mosso frequentemente: “Lei è signore e va a piedi?”» (Karl Baedeker, noto editore tedesco di meticolose guide per viaggiatori, in una articolo di metà Ottocento riferendosi alla mobilità delle carrozze).

All’inizio della storia automobilistica non esiste il silenziatore. Anzi, qualcuno utilizza il cosidetto «rombante», un liquido da aggiungere alla benzina per accrescere il rumore. I piloti sono dei colossi, stazza imponente, schiena e braccia poderose: servono per avviare il motore girando la manovella, reggere il volante, sostituire e gonfiare gli pneumatici, spingere l’autovettura all’officina eccetera.

«Io ho per questi uomini una profonda ammirazione: sono i dominatori della nostra epoca, i re ben più forti, ben più utili di altre epoche, ed anche di quelli della nostra, coloro che strappano le masse ignare, refrattarie, della campagna alla loro tranquilla, supina sonnolenza per gettarle nel crogiuolo incandescente della nostra civiltà» (Antonio Gramsci a proposito degli Agnelli, 1916).

«La Fiat è il primo modello italiano di industria moderna. È un gigantesco apparato industriale che corrisponde a un piccolo Stato capitalista» (Piero Gobetti, 1923).

Nel 1920 in Italia si producono 21.080 vetture, mentre ne circolano 31.466 (una ogni 762 abitanti), e se ne esportano 11.320. Negli anni seguenti se ne fabbricano rispettivamente 15.230, 16.390, 22.820, rispettivamente 10.410, 11.379 e 12.749 vendute all’estero.

«Se immaginiamo un osservatore collocato lungo le nostre strade di prima classe [statali] vederebbe passere 3 veicoli a trazione animale prima che siano passati 10 autoveicoli» (dalla rivista del Touring Club, 1925).

Nel 1933 il traffico medio nelle 24 ore sulle stradi statali fa registrare 421 passaggi di autoveicoli, 587 di cicli e tricicli, 284 di mezzi a trazione animale e 263 branchi quadrupedi domestici.

Nel 1935 nell’intero paese si contano 676.383 veicoli a trazione animale e 243.774 automobili.

Nel decennio 1921-30 il reddito medio pro capite è di 3 mila lire.

In un’intervista rilasciata nel 1928 a un giornale parigino, Mussolini definisce la macchina «reagente anticomomunista della società», «il disinfettante che la salvaguarda dai pericoli dell’intossicazione bolscevica», per cui «proletarizzare l’automobile significa deproletarizzare le masse». «Chiunque comperi un’automobile, sia pure la più piccola vettura di serie, diventa immediatamente antirivoluzionario. Non vuol sentire parlare di quel comunismo che gli porterebbe via, forse, la sua vettura. Non vi sarà un movimento rivoluzionario in America perché ogni operaio pilota la sua Ford. Un milione d’automobili rappresenta una garanzia sociale».

Nel 1932 la Fiat delibera in materia di vendita di vetture a condizioni di favore a propri dipendenti (funzionari e impiegati). Si mette a disposizione la neonata Balilla «per uso personale e giornaliero», scontata del 5% (prezzo di listino quasi 20 mila lire) più un’indennità di L. 240 per sei mesi a titolo di rimborso spese per l’obbligo «di usare quotidianamente la vettura per recarsi all’Ufficio e ritornare al proprio domicilio».

Spot della Fiat 508, nata nel 1932 e subito ribattezzata Balilla: «La vettura per tutti! Andrete ancora a piedi?» e poi un uomo dice: «Togliamo i marciapiedi», e li arrotola come fossero tappeti cancellandoli dal paesaggio urbano.

La rivista L’Automobile uscita nel 1939 definisce i pedoni come quelli «che non vogliono sospendere la lettura dei giornali, mentre passano da un marciapiede all’altro».

Nel 1936 nasce la 500. 13 cavalli, 4 marce, 85 km/h, 8.900 lire. Il padre è l’ingegnere Dante Giacosa. Nato nel 1905, è assunto come disegnatore alle Fiat nel 1928 a 845 lire al mese. Le dimensioni sono così ridotte che Giovanni Agnelli ne esce con una memorabile battuta: «Con la 500 non si sale in macchina, ma si scende».

Prima del conflitto un’auto durava mediamente otto anni e 90 mila chilometri, andava in disuso raggiunti 12 anni e 140 mila chilometri percorsi.

Prima della guerra, il mondo degli automobilisti – addetti ai lavori e non – ragiona secondo un criterio che resterà in voga per parecchi anni: il prezzo al chilo. E allora le 8.900 lire della 500 fanno 16,63 lire al chilo. Più della Balilla che nella versione a buon mercato ne vale 14,45. Ma sempre meno del caffè che a metà degli anni Trenta costa 28,50 lire, mentre un chilo di pane costa 1,80 lire, di pasta 2,60, di zucchero 6,30, di carne bovina 9,20, un uovo 39 centesimi, un litro di latte 1 lira, di vino 1,70, di olio 5,85, un biglietto del tram 50 centesimi, un quotidiano 20, un tubetto di dentifricio 3,80.

L’italiano nel periodo 1930-40 in media guadagna annualmente 2.754 lire. Le 295 lire mensili, necessarie all’acquisto rateale della 500, corrispondono a oltre metà dello stipendio di una dattilografa, e sono all’incirca il salario di un usciere, di un bidello o di un operaio dell’industria, che guadagna attorno alle 4 mila lire l’anno. Mentre un bracciante – nel 1938 – ne riceve mediamente 300 lorde, un applicato dell’amministrazione centrale circa 650. Del 1938 è anche la canzone di successo di Gilberto Mazzi, Se potessi avere mille lire al mese.

Raimundo Orsi, il calciatore argentino meglio pagato d’Europa, quando si trasferisce in Italia nel 1928 riceve ogni mese dalla Juventus 8 mila lire, cioè otto volte lo stipendio di un impegato di banca, e una Fiat 509.

Tazio Nuvolari il 15 giugno 1935, sull’autostrada Firenze-Mare, con l’Alfa bimotore della Scuderia Ferrari, fissa i nuovi primati internazionali di velocità sul chilometro a 321,426 raggiungendo la punta dei 364.

Nel 1945 le autovetture prodotte in Italia sono 2.093. L’anno seguente risultano in circolazione 149.649 auto, una ogni 158 abitanti. Nel 1945 il reddito nazionale assomma al 52% di quello precedente alla guerra e i salari restano a lungo tra i più bassi in Europa. Il reddito degli italiani è il 40% di quello dei francesi, il 35% di quello dei belgi, 15% di quello degli americani. Nel 1946 ammonta a 60.711 lire per abitante. Nel 1949 è cresciuto a 148.995.

«Sbarcare il lunario» (espressione coniata da Ferruccio Pardi, primo presidente del consiglio dopo la Liberazione).

Nel 1957, quando in Italia circolano un milione e 200 mila vetture, nella campagne siciliane di Gela i contadini che protestano per rivendicare la terra e migliori condizioni di lavoro sfilano con carri, biciclette o a piedi.

Nei prima anni Cinquanta a Mirafiori si sviluppa su un fronte di 700 metri una rimessa allestita allo scopo di ospitare le 10 mila biciclette degli operai che lavorano alla catena di montaggio (e già dagli anni Quaranta è presente un’«officina per riparazioni ciclistiche»).

«È aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite, l’occupazione assoluta e relativa, il numero dello auto in circolazione e degli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale dei circolanti su detto mezzo, il consumo del pollame, il tasso di sconto, l’età media, la statura media, la valetudinarietà media, la produttività media e la media oraria al giro d’Italia. Tutto quello che c’è di medio è aumentato, dicono contenti. E quelli che lo negano propongono però anche loro di fare aumentare, e non a chiacchiere, le medie; il prelievo fiscale medio, la scuola media e i ceti medi. Faranno insorgere bisogni mai sentiti prima. Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda. A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un con l’altro dalla mattina alla sera». (Luciano Bianciardi, La vita agra, 1962)

Succede che le autovetture facciano registrare un eccezionale tasso di incremento: posto uguale a 100 l’indicatore della loro produzione nel 1950, esso è diventato 1.107 nel 1963. Curva ascendente simile a quella della televisione (nel 1960 l’elettrodomestico più frequentemente posseduto dalla famiglie italiane: 20 su 100). Inoltre si rivela un formidabile moltiplicatore, nel senso che «per ogni aumento di mille lire della produzione globale dell’industria automobilistica l’economia del Paese ne riceveva complessivamente 1.976»

Nel 1964 per la prima volta il numero delle automobili circolanti (4.674.644) supera quello dei motocicli (4.656.035). Il 67% di quel parco macchine è composta da motori sotto i mille centimetri cubici di ciclindrata. Tempo 6 anni nel 1970 di auto se ne producono 1 milione e 719.715 e ne circolano più di 10 milioni (una ogni 4,9 abitanti).

Il 10 marzo 1955 al Salone di Ginevra debutta la 600. Il costo è di 590 mila lire, che diventano 622 considerando le spese di immatricolazione. Le gomme con la fascia bianca, che all’epoca tentano l’automobilista perché inconfondibile tocco di grande eleganza, richiedono un sovrapprezzo di circa 7 mila lire, mentra la tassa annuale di circolazione è di 10 mila lire. Il nome allude alla cilindrata. Qualcuno prova a suggerire qualcosa di meno freddo e burocratico: Lucciola, con riferimento alla Topolino che va a sostituire e con riferimento al motore posteriore. Ma senza successo. Ha un motore di 633 centimetri cubi per 21,5 cavalli, quattro cilindri in linea e quattro marce, e consuma nel ciclo medio 7 litri per 100 chilometri. Motore posizionato posteriormente a sbalzo, con trasmissione sulle ruote posteriori. Velocità massima di 95 chilometri all’ora. L’assenza di spigoli e linee arrotondate significano riduzione di volume e di peso (560 chilogrammi a vuoto). «La piccola vettura italiana a 4 posti», titola Interauto.

La 600 è responsabile dell’espansione dell’azienda torinese che tra il 1950 e il 1961 arriva a più che quadruplicare la sua produzione di auto e a coprire il 90% del mercato italiano.

«Era stata ormai superata la prima metà degli anni Cinquanta e cominciava a intravedersi all’orizzonte l’incubo 600. C’era un concorso che era servito a lanciare questa auto-miraggio: bisognava scrivere seicento targhe appunto della 600 e si riceveva in premio un pallone. Mi immagino ancora oggi vedere sulla Lambretta papà che guida sulla Nomentana e zio che, con un foglio appoggiato sulla sua schiena, scrive i numeri di targa» (Nazzareno Penta).

Passano soltanto dieci mesi e al Salone di Bruxelles, il 14 gennaio 1956, la Fiat presenta una variante della 600 dalle caratteristiche originale: la Multipla. L’abitato anteriore è ricavato al posto del cofano e protetto da una piastra d’acciaio, con i sedili collocati direttamente sopra le ruote. Esiste una versione a 5 posti, della quale Epoca scrive che il sedile posteriore «ospita tre persone normali con il cappotto», e una, addirittura, a 6 posti con i sedili su tre file. «Su almeno un centinaio di giornali italiani che hanno scritto della Multipla, 99 ne dicono tutto il bene possibile; uno solo – l’Avanti! – ne dice male, arrivando al punto di scrivere: “Sconsigliamo francamente l’acquisto di questa vettura”. Ciò è inaudito, non ha precedenti nemmeno su l’Unità, che ha invece scritto obiettivamente limitandosi ai dati tecnici» (dai Diari del direttore dell’ufficio stampa Gino Pestelli).

In un intervento del 1965 sull’italiano, Italo Calvino osserva che «il nome di ogni pezzo anche minimo di un’automobile è [oggi] uguale in tutta Italia e usato quotidianamente da ogni operaio meccanico; mentre la terminologia agricola era tutta diversa da una provincia all’altra».

L’italiano ha sempre meno locuzioni metaforiche di radice rurale o preindustriale, del tipo: dormire della grossa, cercare un ago in un pagliaio, ringalluzzire, incapponirsi, idem con patate, eccetera. Ha parimenti sempre meno utilizzato espressioni legate ai vecchi mezzi di locomozione, come: essere a cavallo, mordere il freno, avere i paraocchi, perdere le staffe, a briglia sciolta, a spron battuto, andare a gonfie vele o controcorrente, tirare i remi in barca, perdere la tramontana e simili. Sempre più, invece, locuzione e traslati provenienti dal panorama industriale-meccanico-motoristico (ingranare, essere sfasati, su di giri, partire in quarta, prendere una sbandata, fare il pieno, avere una marcia in più, gasare, sbiellare, cinghia di trasmissione, banco di prova, ecc.).

L’Istat informa che il reddito annuale nel 1955 per abitante è di circa 283 mila lire, mentre nel 1946 non arriva a 62 mila lire. Nel 1960 sfiorerà le 400 mila lire e nel 1970 le 700 mila. Nei vent’anni che intercorrono tra il 1950 e il 1970, tra alti e bassi, la crescita media annua è stata calcolata quasi intorno al 6%.

Titolo dell’Europeo nel marzo del 1955, dopo la pesante sconfitta della Fiom alle elezioni delle commissioni interne della Fiat e la vittoria di sindacati liberi: «Meglio una 600 oggi che la rivoluzione domani».

Nel numero di agosto del 1956 la rivista laica Quattroruote, da pochi mesi in edicola, invita la Chiesa a imporre ai propri fedeli l’obbligo di confessare «come colpa la guida imprudente e le gravi abituali inosservanze del codice della strada. Fra gli immortali principi del Vangelo si legge “Non ammazzare” e la guida imprudente e la inosservanza del codice stradale possono essere tentativi di omicidio o di suicidio». «Dovete dirlo al confessore» è l’imperioso titolo che accompagna l’avvertimento rivolto agli automobilisti italiani, cattolici al 99%.

Dopo l’operazione di ritocco dei listini condotta a fine 1957, nel corso del 1958 la Fiat ribassa ulteriormente i prezzi di tutti i propri modelli per fronteggiare la concorrenza straniera (nel 1957 intanto era nato il Mercato Comune).

1957 esce la Nuova 500: 2,97 metri di lunghezza, 1,32 di larghezza, 1,32 di altezza, 2 cilindri, 499,5 di cilindrata, 85 chilometri di velocità massima ecc.

2007, esce la Fiat 500: 3,55 metri di lunghezza, 1,65 di larghezza, 1,49 di altezza, 4 cilindri, 1.242 di cilindrata, 160 chilometri di velocità massima ecc.

Nel 1975 saranno tre milioni e 678 mila gli esemplari prodotti della Nuova 500.

Per i giovani la 500 pare più adatta della 600. Innanzitutto perché più a buon mercato, in secondo luogo perché meno «tranquilla» d’aspetto rispetto alla sorella maggiore che conserverà sempre l’impronta prevalente dell’auto destinata alle famiglie. In quegli anni la 500 fornisce anche il luogo riparato dove sperimentare i primi approcci amorosi proprio negli anni successivi alla chiusura delle case di tolleranza (1958). Non per niente gli schienali reclinabili (disponibili a richiesta e con soprapprezzo) erano l’unica velleità in una vettura per il resto così povera di dotazioni.

Nel 1948 erano asfaltate a malapena due terzi delle strade statali. Nel 1949 il traffico merci su gomma supera, per la prima volta, quello su rotaia.

Consalvo Sanesi, nel 1961, al volante di una rossa Giulietta spider, accetta la sfida con il Settebello delle Ferrovie dello stato sul percorso Milano-Roma: vincerà lui, arrivando in via Veneto in cinque ore e cinquantanove minuti, a 102 chilometri di media, trentotto minuti prima del treno.

L’Autosole. Costruita nello spazio di otto anni (tra il 1956 e il 1964, dal dicembre 1958 percorribile fino a Parma, dal luglio 1959 fino a Bologna, dal dicembre 1960 fino a Firenze), essa unisce senza soluzione di continuità Milano a Napoli con 761 chilometri di asfalto. Al normale traffico commerciale adesso bastano alcune ore per compiere l’intero percorso, laddove prima servivano almeno un paio di giorni. L’Autosole si rivela un’opera di alta ingegneria, figlia della tecnica costruttiva ferroviaria dell’Ottocento: trincee, gallerie, ponti e viadotti spianano i rilievi e colmano le bassure. Consentono di viaggiare in quarta (come molti automobilisti entusiasti scrivono ai giornali). Facendo i conti sono 113 ponti e viadotti, 38 gallerie, 572 cavalcavia, 54 milioni di metri cubi di materiale scavato, un milione e 600 mila metri di recinzioni metalliche. Località fino ad allora sconosciute si affollano numerose alla coscienza degli italiani e danno più completa concretezza alla nozione, fino ad allora molto astratta, di nazione: Pian del Voglio, Roncobilaccio, Badia al Pino, Colleferro, Ceprano ecc. Gli autogrill diventano molto presto un nome comune più che un marchio commerciale (della Pavesi, che nel 1952 ne costruisce il primo esempio sulla Torino-Milano). A fine 1960 ne sorgono già 19. A lavori completati, nel 1964, saranno 54.

Nel 1957 la Fiat sperimenta, in alcuni suoi stabilimenti, le cinque giornate di lavoro. Poco dopo imitata da Olivetti e Ibm. Nel 1961 sono i bancari a conquistare il fine settimana libero. L’anno seguente i sindacati di metalmeccanici ottengono la riduzione oraria da 44 a 40 ore, distribuite su cinque giorni e non più su sei. Sempre a inizio 1962, alla Lancia e alla Michelin di Torino la rivendicazione è per ottenere la terza settimana di ferie pagate.

«Il giornale sott’occhio, la radiolina all’orecchio, la canna da pesca piantata sulla riva, l’automobile, il canotto di gomma, il tavolino smontabile, le cibarie, la moglie e i figli nelle immediate vicinanze, egli si sente in presa diretta col mondo e confortato dalla disponibilità dei beni» (Giorgio Bocca, nel 1962, impegnato a tratteggiare il ritratto del milanese-tipo nell’atto di godersi una domenica lungo le rive del Ticino).

Tra il 1952 e il 1962 gli incidenti stradali passano da 95 mila a 323 mila. I morti, 4.266 nel 1952 (72.513 i feriti), nel 1962 sono 9.683 (e 287.774 feriti). Raggiungeranno il valore massimo di 11.078 nel 1972. Dal 1952 al 1970 i morti sulla strada ammontano a 152 mila. Le vittime militari della Seconda guerra mondiale, per dire, furono 290 mila.

L’assicurazione auto diventa obbligatoria nel 1969.

Lo scrittore John Fante in visita a Roma nei primi anni Settanta: «Il traffico qui, comunque, è una disgrazia nazionale. Le strade sono inondate di sangue, semplicemente, mentre questi folli italiani si uccidono a vicenda in quelle micidiali piccole Fiat. Gli automobilisti disprezzano i pedoni e (senza scherzi) adorano piombare su un incrocio affollato e far sì che la gente scappi via».