Elena Comelli, Nòva24 4/11/2012, 4 novembre 2012
LA CATTURA INTELLIGENTE DEL VENTO
Per ora è una vasta distesa di acqua grigio-blu a cento chilometri dalla costa inglese, poco salata e molto pescosa, nota per essere stata l’epicentro, nel 1931, del più grave terremoto che abbia mai colpito il Regno Unito. Fino all’ultima glaciazione del Pleistocene, il Dogger Bank era un’isola grande quasi come la Sardegna e c’è chi la identifica con il regno della mitica Atlantide. Se fosse vero, però, i suoi abitanti non sarebbero estinti, perché l’isola non è sprofondata di molto: a seconda delle zone, qui l’acqua è alta 10-15, massimo 30 metri. Perfetta per un campo eolico offshore. Questo è il futuro del Dogger Bank: una distesa di mega-turbine da 6 o 7 megawatt, alte più o meno 180 metri, con un’apertura alare di 150.
Il mare di pale sarà il più grande del mondo e alla fine avrà una capacità complessiva di 9 gigawatt, come dire tutta la potenza eolica installata in Italia e ancora un bel po’ di più. La gara d’appalto è stata vinta da un consorzio guidato dalla tedesca Rwe e i lavori cominceranno l’anno prossimo, ma le turbine non sono ancora state ordinate. Tutti i grandi dell’eolico si stanno preparando alla corsa: Siemens, la grande vincitrice delle ultime gare offshore, ha appena avviato a Østerild, in Danimarca, i test per la sua turbina da 6 megawatt e sempre qui dovrebbero partire fra qualche mese i test per il nuovo "bestione" di Vestas, che avrà una potenza di 8 megawatt, mentre Alstom ha già iniziato qualche mese fa sulla costa atlantica i test per la sua nuova nata Haliade, a oggi la più grande del mondo. Questi prototipi rappresentano il futuro dell’eolico, a giudicare dalla rapidità con cui cresce l’offshore, ultimo arrivato sul mercato del vento e già in corsa per raggiungere la competitività con i combustibili fossili, a colpi di economie di scala.
Dogger Bank è solo un pezzo della grande rivoluzione eolica offshore, che cambierà radicalmente il panorama della generazione e della trasmissione elettrica nell’Europa di domani, con tutte le ricadute tecnologiche ed economiche del caso. Un mercato che nel 2009 aveva poco più di 2 gigawatt installati, oggi ne ha 5 e prevede di arrivare a 40 gigawatt nel 2020 e 150 nel 2030. Qual è il segreto? L’innovazione incrementale e il ritmo serrato del progresso. «La dimensione sempre più ampia delle turbine e l’intelligenza crescente dei sistemi di telegestione stanno comprimendo rapidamente i costi di produzione dell’eolico offshore, che può approfittare di venti più forti e più costanti rispetto all’eolico onshore», spiega Morten Albaek, vice presidente di Vestas, leader mondiale dell’eolico con 46mila turbine installate in 69 Paesi. È proprio questo il senso di una mega-turbina da 8 megawatt: considerando più o meno pari i costi d’installazione e di allacciamento, una macchina più grande produce più energia dalla stessa quantità di vento. Le pale della V164, lunghe 80 metri, sono in via di realizzazione nello stabilimento Vestas sull’Isola di Wight nel corso di questo trimestre, mentre il generatore sarà pronto per i test a inizio 2013. Nel centro di collaudo centrale di Vestas a Aarhus, il più grande del mondo, è stata costruita un’ala apposta per testare la macchina, sottoponendola a dure prove in modo da essere sicuri della sua resa in mezzo al mare.
Da qui, nell’avvenieristico centro diagnostico, i tecnici di Vestas seguono tutte le turbine installate in giro per il mondo: grazie ai milioni di dati raccolti in 35 anni d’impegno al servizio del vento e a una modellistica specifica, basta un lieve riscaldamento dell’olio lubrificante negli ingranaggi di una turbina per far accendere una lucina rossa e far scattare un intervento anche a migliaia di chilometri di distanza. «Pochi giorni fa abbiamo scoperto un’anomalia in una turbina in mezzo al canale della Manica, che alla lunga avrebbe causato un guasto grave», spiega Matthew Whitby, portavoce di Vestas. «Ma per prevenirlo è bastato sostituire un bullone e così abbiamo evitato il fermo turbina», precisa. In questo modo si riduce al minimo la perdita di ore di vento e si comprimono sempre di più i costi di produzione, aumentando il rendimento complessivo degli impianti eolici.
Restano i consueti problemi di tutte le fonti rinnovabili: l’intermittenza, la difficoltà di immagazzinare l’energia prodotta, la distanza dai centri di consumo, che comporta lunghe e costose linee di trasmissione.
Continua a pag.44Ma con le economie di scala e le turbine intelligenti diventa sempre più attraente il vantaggio offerto da una fonte gratuita e pulita come il vento. Non a caso, per Bloomberg New Energy Finance l’eolico onshore ha già raggiunto la piena competitività con i combustibili fossili nelle posizioni più favorevoli, in particolare in Italia, Portogallo, Regno Unito, Canada, Brasile e Argentina. Per l’eolico offshore, che comporta costi d’installazione e di allacciamento più alti, ci vorrà ancora un po’ di tempo. Stefan Linder, analista di Bloomberg, prevede la parità al 2016. Nel quartier generale di Vestas, proteso verso il mare nel Nord della Danimarca, gli occhi brillano quando si parla di Dogger Bank: è là che questi pionieri del vento vedono il futuro. Dei mega-progetti eolici nel Mare del Nord, quelli inglesi sono i più ambiziosi. Londra ha pianificato e sta mettendo all’asta nove zone dove realizzare 32 gigawatt di potenza eolica offshore. I primi fuochi della rivoluzione già si vedono: London Array, alla foce del Tamigi, a oggi il più grande campo eolico offshore del mondo, ha immesso in rete il primo kilowattora lunedì scorso: le 175 turbine Siemens da 3,6 megawatt produrranno una quantità di energia sufficiente a soddisfare il fabbisogno di mezzo milione di famiglie. Un bel salto rispetto agli albori dell’eolico, quando Vestas lavorava in segreto alle sue prime turbine, negli anni 70, per timore di coprirsi di ridicolo con una tecnologia inefficiente. Karl Erik Joergensen, il fabbro danese che ha dato un impulso fondamentale allo sviluppo delle moderne turbine, realizzando con l’aiuto di Vestas il primo prototipo del rotore a tre pale non crederebbe ai suoi occhi. Henrik Stiesdal, il ragazzo che allora lo aiutava, oggi è il Chief Technology Officer di Siemens Wind Power. E con le sue turbine è diventato una delle forze propulsive nella rivoluzione offshore del Mare del Nord.