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 2012  novembre 04 Domenica calendario

I SETTE GRANDI HUB DI ENI PER SCOPRIRE E PRODURRE PETROLIO E GAS NATURALE

Eni? Un’intregrated oil company, dicono gli inglesi. Cioè, una compagnia petrolifera presente nelle diverse fasi della filiera industriale di settore: dall’esplorazione alla produzione; dalla raffinazione alla distribuzione di oro nero e gas. Cui, peraltro, si aggiungono attività quali la produzione di energia elettrica e la chimica. Un business trasversale però che, anche a fronte del deconsolidamento di Snam, dal punto di vista della performance reddituale delle varie attività non è omogeneo.
Per rendersene conto basta guardare gli ultimi dati contabili. Nei primi nove mesi del 2012, l’utile operativo adjusted di Eni (al netto delle voci straordinarie) è salito a 14,796 miliardi (+13,9% sul 2011). Ebbene, al risultato ha contribuito per 13,656 miliardi la divisione Esploration&Production; altri 1,148 miliardi li ha portati in dote Ingegneria&Costruzioni; l’unità Gas&Power, dal canto suo, ha un saldo positivo di 313 milioni. Mentre, tra gennaio e settembre, la Raffinazione&Marketing e la chimica hanno iscritto in bilancio una perdita.
Certo, può obiettarsi: sulla divisione gas ed energia, in un utile operativo nel 2011 per 1,95 miliardi (3,12 nel 2010), hanno pesato diversi fattori contingenti. Dalla crisi di domanda sul gas stesso fino all’esborso (nel terzo trimestre) per i lodi arbitrali legati alla revisione di alcuni importanti contratti. Inoltre, può sottolinearsi: a livello di ricavi, divisioni quali la Refining&Marketing (46,6 miliardi nei primi nove mesi 2012) hanno un peso maggiore rispetto all’eplorazione e produzione.
Ciò detto, però, è innegabile che quest’ultima sia il vero motore reddittuale della società. Così, capire le strategie del Cane a sei zampe su questo fronte è essenziale. Si tratta, in termini tecnici, del cosiddetto upstream. Cioè, l’acquisizione dei diritti di sfruttamento; la ricerca dei giacimenti; lo sviluppo dei siti estrattivi e, infine, l’estrazione (di oro nero o gas) per la commercializzazione.
I numeri e la strategia
In primis, va ricordato che Eni ha un obiettivo di crescita annua nella produzione di idrocarburi di oltre il 3% fino al 2015, e del 3% l’anno dal 2015 al 2022. Nell’esercizio in corso, giocoforza, la percentuale sul 2011 è maggiore. Lo scorso anno, infatti, la società ha "pagato" lo stop della produzione in Libia. Così, in avvio di 2012 la stima indicata dal Cane a sei zampe è stata di un rialzo attorno al 10%. Questo valore, sempre in avvio di esercizio e con l’allora prezzo di riferimento di 90 dollari al barile, portava ad una previsione di circa 1,7 milioni di barili equivalenti (Boe)/giorno. Una cifra che però, a fronte di un prezzo di riferimento salito nel frattempo a 112 dollari per barile, dovrebbe essere un po’ più bassa. Se questi i numeri e le stime, quali però i passi per raggiungerli?
Gli hub del Cane a sei zampe
La compagnia petrolifera, al di là della presenza in Paesi quali per esempio l’Italia, ha in linea generale definito sette principali hub di crescita: il Nord Africa, l’area Sub-Sahariana, il Kazakhstan, l’Estremo Oriente e Pacifico, il mare di Barents, la penisola di Yamal e il Venezuela.
Zone di incremento dell’upstream dove, tra le altre cose, la scommessa è di ridurre il cosiddetto time to market, cioè il tempo che intercorre tra la scoperta e la commercializzazione della medesima. Il mondo petrolifero, in media, ha un time to market di 8-10 anni. Quello di Eni, è l’indicazione della stessa azienda, è inferiore agli 8 anni per il 90% dei giacimenti trovati tra il 2009 e il 2011. Un risultato conseguenza anche dello sviluppo di campi vicino a zone dove l’azienda già è presente. Spesso e volentieri asset "giant", come ad esempio in Africa.
Mediterraneo e Nord Africa
Monito turco sul gas a Cipro. Ankara è pronta a rivedere gli investimenti dell’Eni in Turchia se l’azienda italiana arriverà a un accordo con Cipro sui depositi di gas al largo dell’isola. È quanto ha dichiarato il ministro per l’Energia, Taner Yildiz, citato dal quotidiano Hurriyet. Nel Nord Africa (Libia, Algeria e Egitto) elemento essenziale è stato, dopo la rivoluzione contro Gheddafi, il recupero della produzione libica: attualmente è a 240.000 Boe/giorno. La ripresa della capacità totale? Prevista nel 2013. Alcuni gestori però, nello scenario post-rivoluzione, sottolineano il rischio della maggiore concorrenza da parte delle compagnie francesi e britanniche. Eni rigetta l’analisi: proprio l’attuale livello della produzione testimonia che l’operatività non è stata intaccata. Peraltro, negli altri Paesi che hanno conosciuto la Primavera araba non ci sono contraccolpi. Un esempio? L’Egitto: qui, ricorda il gruppo, la sua produzione è di circa 240 mila Boe/giorno.
Il Mamba e l’Angola
Ma non è solamente l’hub del Nord: in Africa c’è anche l’area Sub-Sahariana (Angola, Mozambico, Nigeria, Congo). Su questo fronte può ricordarsi la grande scoperta di gas al largo del Mozambico. Un giacimento, da potenziali 1.974 miliardi di metri cubi di gas (che potrebbero anche aumentare), dove l’ipotesi finale d’investimento è attesa nel 2014. L’obiettivo? Riuscire ad avviare la commercializzazione nel 2019.
Più stretti, invece, i tempi per il giacimento in Angola (produzione massima stimata in 170 mila Boe/giorno). Per la parte ovest del campo, infatti, l’avvio della produzione potrebbe avvenire nella seconda metà del 2014.
Kashagan e Goliat nel mare di Barents
Dall’Africa al Kazakhstan. Qui, oltre l’impegno a Karachaganak, dovrebbe finalmente prendere forma l’operazione di Kashagan. Dopo anni di rinvii, e oltre 6,4 miliardi di Capex per Eni, nella primavera del 2013 è previsto l’avvio della produzione. Nel terzo trimestre del 2014, invece, è fissata la partenza per l’estrazione nell’offshore di Goliat nel Mare di Barents (60 mila Boe/giorno nel 2015). Già dall’ottobre 2011, al contrario, è attivo il campo a olio di Kitan al largo dell’Australia (time to market di 3,5 anni). Un asset, quest’ultimo, che "rientra" nell’hub dell’Estremo oriente. Cui devono aggiungersi, ovviamente, il Venezuela e la penisola russo-siberiana di Yamal. Qui può ricordarsi che, in aprile, ha già iniziato la produzione il campo di Samburgskoye (30mila Boe/giorno al 2015).
Investimenti e obiezioni
Insomma, gli sforzi del Cane a sei zampe per andare in caccia di gas e olio sono notevoli. E questo, dicono in coro gli analisti, è un (se non «il») valore aggiunto del gruppo. In tal senso non stupisce che, sui circa 12 miliardi di Capex previsti nel 2012, attorno all’80% sia destinato all’Esploration&Production. Ciò detto tra gli esperti c’è chi sottolinea un pericolo. Capex così alti, con picchi spesso nella parte iniziale dell’investimento, possono schiacciare i flussi di cassa. Eni non condivide l’obiezione. L’unico caso rispetto al quale l’analisi potrebbe avere un senso è Kashagan. Ma qui il traguardo è quasi raggiunto. Peraltro, proprio l’entrata in vigore di grandi progetti, quale quello in Kazakhstan, farà scendere il capitale inattivo (che non produce cashflow) dal 30% nel 2012 a meno del 20%. E non solo: il basso time to market del gruppo giocoforza elimina il rischio indicato.
Altri analisti, però, ricordano che nel terzo trimestre 2012 il flusso netto di cassa da attività operativa è sceso (rispetto al medesimo periodo del 2011); e lo stesso consuntivo sui nove mesi è in calo. Anche quest’obiezione per Eni è di scarso peso. In primis, il dato sul terzo trimestre soffre l’effetto stagionalità. La divisione Gas & Power, da un lato riduce le vendite e, dall’altro, aumenta i flussi di cassa in uscita per ricostituire le scorte in funzione dell’inverno. Inoltre, ci sono stati degli esborsi straordinari legati ai lodi sulla ri-definizione dei contratti sul gas. Senza dimenticare, infine, l’aumento una tantum del circolante della controllata Saipem.
Insomma, ragionevolmente, il cash flow operativo a fine anno sarà allineato o leggermente superiore al 2011. Il che, tenuto conto che nel 2012 viene a mancare "parzialmente" il contributo di Snam, per la società è un buon risultato. Così come è ritenuto positivo l’andamento della posizione finanziaria netta. L’indebitamento è passato da 26,9 miliardi (30/6/ 2012) a 19,6 miliardi (30/9/2011). Un valore, quest’ultimo, destinato ancora a scendere. Da un lato, infatti, ci sarà il contributo legato alle rimanenti tranche della cessione di circa il 30% di Snam. E dall’altro, le stime sul cash flow operativo dell’ultimo trimestre sono buone. Così alla fine, computato il deconsolidamento di Snam, il Debt to equity dovrebbe arrivare al 20-25%. Smobilizzate poi, nei giusti tempi, le ulteriori quote nella Spa dei gasdotti e in Galp il rapporto tra indebitamento e patrimonio netto è previsto ben al di sotto al 20%. Cioè, in linea con il resto dell’industria.