Rosalba Reggio, Il Sole 24 Ore 5/11/2012, 5 novembre 2012
MISURE ALTERNATIVE: NON SOLO RISPARMI
«L’amministrazione penitenziaria si porta dietro, ogni anno, un debito di circa 100 milioni. Una cifra costante che letta alla luce di risorse in diminuzione, racconta lo sforzo fatto dal sistema per contenere i costi». Lucio Bedetta, direttore generale del Bilancio e della contabilità del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, sintetizza così la lettura dei conti degli ultimi anni. Se alcune voci di spesa risultano sottostimate nelle prime previsioni di bilancio, altre, invece, hanno registrato una diminuzione degli stanziamenti. «È il caso, per esempio, delle risorse destinate alla manutenzione ordinaria e straordinaria» spiega Bedetta.
Al netto di correzioni di bilancio, per il 2012 il costo complessivo dell’amministrazione penitenziaria sarà di 2,8 miliardi di euro. Suddividendo la spesa per il numero dei giorni e dei detenuti si ottiene una cifra di 115 euro, che rappresenta il costo giornaliero di ogni detenuto. Un costo molto alto in un sistema ancora sbilanciato sulla detenzione rispetto agli altri Paesi europei. Se in Italia, infatti, l’82,6% delle persone in esecuzione di una condanna sta in carcere, in Francia la percentuale scende al 26% mentre la fetta maggiore, il 74%, sconta pene alternative. Insomma, se avessimo lo stesso rapporto dei francesi, invece di una popolazione carceraria di 66.833 persone, avremmo 21mila detenuti. Azzardando un conteggio molto sommario e moltiplicando il costo attuale a detenuto per il nuovo totale otterremmo un costo complessivo di circa 880 milioni, a fronte degli attuali 2,8 miliardi.
Un conteggio puramente indicativo – perché gran parte dei costi del sistema penitenziario sono incomprimibili sul breve periodo – ma che potrebbe essere vicino alla verità se venissero attuate politiche virtuose di medio-lungo periodo. Per cominciare, come sostiene dal suo insediamento il ministro Severino, bisognerebbe vincere il pregiudizio tutto italiano verso le pene alternative e considerare la detenzione solo come extrema ratio. Una politica che avrebbe il vantaggio di ridurre la recidiva e gli alti costi che questa rappresenta per la società. Ad oggi, però, il nostro sistema registra un calo di queste misure alternative. I condannati che ne beneficiano sono meno di ventimila, tra affidamento in prova, semilibertà e detenzione domiciliare.
Proprio per valutare l’incidenza delle pene alternative sulla recidiva e misurarne i benefici, Il Sole 24 Ore, il ministero della Giustizia, Eief e Creg hanno recentemente avviato una ricerca (si veda Il Sole 24 Ore del 27 settembre scorso).
«Il vero risparmio per il Paese – spiega Luigi Pagano, vice capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – sarà rappresentato dalla riduzione della recidiva. Se aumentiamo il numero di detenuti che scontano pene alternative al carcere, di fatto, trasferiamo i costi dalle strutture penitenziarie a quelle di assistenza sociale. Non abbiamo quindi alcun vantaggio diretto. Il vero beneficio è indiretto. Solo lavorando al reinserimento dei detenuti nella società e nel mondo del lavoro, infatti, creiamo un circolo virtuoso che riduce strutturalmente i costi - sociali e finanziari - della delinquenza».