Emilia Costantini, Corriere della Sera 5/11/2012, 5 novembre 2012
«SONO UN CLOWN, ATTORE NEGATO»
Sono tre le cose di cui vuole parlare Paolo Villaggio: oggi riceve il prestigioso Premio Gogol a Villa Medici; il 14 novembre torna in teatro, ai Satiri, con La Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca; e, soprattutto, il 30 dicembre compie 80 anni. «Visto che hanno commosso tanto i 60 anni compiuti recentemente da Roberto Benigni, penso che i miei 80 possano essere presi in considerazione come prova di resistenza».
È un fiume in piena, l’attore e scrittore. «Sono sorpreso di essere ancora in piena attività e ciò dipende soprattutto dal fatto che le cose, per noi anziani, oggi sono molto migliorate. Ai primi del ’900 gli ottantenni erano tutti morti, oggi non ci abbattono neanche a cannonate».
Ma il pensiero, e relativo commento, va subito all’Italia di oggi: «Il candidato alla Casa Bianca Romney ha detto "non vorremmo fare la fine dell’Italia" e si sono subito levati i nitriti indignati della nostra "casta". Ma questi signori, negli ultimi dieci anni, dov’erano? Come mai non si sono accorti di quello che stava accadendo? Quelli della mia generazione che hanno conosciuto la guerra, hanno pure visto la nostra nazione rinascere dalle macerie e guadagnarsi in poco tempo il quarto posto dopo altri due Paesi distrutti dalla guerra, Giappone e Germania. Ora siamo scesi terz’ultimi in Europa».
I politici di oggi, a cominciare da Berlusconi, non gli vanno giù: «Fanno sondaggi, promettono le fabbriche, il lavoro, il ponte sullo Stretto... Ma dove sono queste fabbriche? Dov’è il lavoro? Dov’è il ponte? Bisognerebbe essere più umili e capire che, per crescere e migliorare, è la nostra cultura che va modificata. Ci vuole un timoniere cattivo come Monti che dice: "Se volete si fa così, altrimenti me ne vado"».
I giovani di oggi, invece, gli fanno pena: «Sono molto più infelici e depressi di noi vecchi. Finiscono per trasformare una festa stupida come quella di Halloween, festa di cui per altro non ne sanno nulla, in un massacro: diventa una scusa per impasticcarsi, drogarsi, bere alcol... e finisce a coltellate».
Villaggio sprizza energia e della morte non ha paura. «Neanche per sogno! L’unica cosa che mi dispiace è che non credo nell’aldilà... Ma non ho paura di morire. Fellini, per esempio, non aveva paura della morte, perché sapeva che Fellini, cioè i suoi film, sarebbe rimasto». Dunque, Villaggio sa che Villaggio resterà. Ridacchia: «Comincio però a preoccuparmi per i premi, mi fanno un po’ paura, perché ti danno veramente la misura del fatto che sei vecchio. Appena arrivai a Roma, tanti anni fa i romani mi chiamavano "a Pa’". Poi, dopo il successo di Fantozzi, hanno cominciato a chiamarmi "dottor Villaggio". Adesso mi chiamano "maestro"... che è già un funerale, una commemorazione!».
Ottant’anni sono un traguardo, una lunga strada già percorsa. «Se mi guardo indietro, correggerei alcuni aspetti poco coraggiosi della mia vita. Sono sempre stato un po’ vigliacco con i pugili, con i fascisti... mancanza di coraggio fisico, che mi umiliava».
Ma c’è una circostanza che invece vorrebbe rivivere: «Una notte d’estate, senza luna e piena di lucciole. Colei che sarebbe diventata mia moglie aveva 15 anni e io provavo un’attrazione fisica incredibile per lei. Rimediai un bicchiere di vetro, raccolsi un bel po’ di lucciole, le misi nel bicchiere e, con questa sorta di lanterna, illuminai il suo bel volto. Vorrei chiudere dentro una boccetta ancora quella luce, quel volto e soprattutto l’odore di mia moglie quindicenne e l’odore del mare che oggi non si sente più».
L’errore più grande? «Almeno venti!». E poi aggiunge: «L’aver accettato, per debolezza e per l’incapacità di dire di no, di fare tanti film di m...». La più grande vittoria, però, è il Leone d’oro a Venezia: «Ne sono orgoglioso, è stato il momento più importante della mia carriera. Certo — ci pensa su — non mi sarebbe dispiaciuto anche l’Oscar come è capitato a Roberto Benigni».
E aspettando quella statuetta, perché non si sa mai, Villaggio torna in palcoscenico: «Sono un attore negato». Negato? «Sì! Anche Gassman me lo diceva: "Non ce la farai mai". A me piaceva fare lo scrittore, non l’attore. Semmai sono un clown e per questo piacevo a Fellini. Io volevo solo scrivere i libri su Fantozzi, però poi proprio Fantozzi, il ragioniere Ugo, mi ha trascinato nella bolgia dei film, alcuni dei quali, ripeto, davvero orrendi».
E la famigerata Corazzata?
«Bè, quella l’ho subita per quasi dieci anni. Insieme a Fabrizio De André, siccome eravamo imbranati e non rimediavamo le ragazze con cui andare in camporella, eravamo costretti a frequentare la cineteca: rassegne di film in cecoslovacco con didascalie in tedesco... pomeriggi interminabili trascorsi così. E la Potemkin era inesorabile, una noia mortale».